sabato 11 marzo 2017

Il Laocoonte

Il Laocoonte è un'opera di Michelangelo


 alberto cottignoli  5 Ottobre 2011  5 storia dell'arte

     Esiste un abbozzo del Laocoonte scolpito da Michelangelo.

 http://albertocottignoli.over-blog.it/article-il-laocoonte-e-un-opera-di-michelangelo-85931063.html

 
 Il “Laocoonte”

 

 

Il Laocoonte è considerata l’opera scultorea in marmo  più importante che l’ellenismo e tutta l’arte greca in genere ci abbia consegnato. Se si tiene conto che la statuaria greca è reputata la massima manifestazione artistica di questo genere di tutto il mondo e di tutti i tempi, ci rendiamo conto della smisurata importanza che questo gruppo scultoreo riveste.

Esso rappresenta il sacerdote troiano Laocoonte ed i suoi figli mentre vengono soffocati da due serpenti mandati da Athena per impedirgli di convincere i troiani a non introdurre in città il cavallo, zeppo di guerrieri, lasciato dai greci sulla spiaggia.

Questa complessa scultura venne ritrovata nel 1506, a Roma, sepolta nella vigna di tale Felice de Fredis. Plinio racconta di avere visto il gruppo scultoreo del Laocoonte nel palazzo di Tito e lo dichiara di bellezza tale da essere preferito a qualsiasi altra opera artistica, sia di pittura che di scultura.

Plinio afferma anche che è opera dei tre “sommi artefici” Agesandro, Atanodoro, Polidoro, di Rodi.

Il gruppo scultoreo mancava di alcuni frammenti, ma il più importante era sicuramente il braccio destro (ritrovato solo nel 1900) e gran parte della spalla destra cosicché, se era quasi impossibile capire, all’atto del ritrovamento, come il braccio fosse atteggiato, era invece sicuramente impossibile stabilire la postura dell’avambraccio in quanto il bicipite, che determina il movimento di quello, era completamente assente. 

 

Dei tre di Rodi ben poco si sa e nessuna delle loro opere era conosciuta, caso vuole però che proprio nel 1990 si scopra a Baia nell’antro del ninfeo di Sperlonga, un gruppo scultoreo (raffigurante Scilla che, con le estremità in forma di cani, aggredisce la nave di Ulisse e uccide i suoi compagni) che reca per esteso la loro firma.

 

 La Scilla di Sperlonga

 

Si grida allora al miracolo e tutti gli esperti concordano nel riconoscere negli autori della Scilla gli stessi del Laocoonte.

Questa in breve la storia, ma andiamo ad analizzare i problemi che, l’attribuzione ai tre di Rodi di questo gruppo, solleva.

In primis, dal punto di vista stilistico, la Scilla è agli antipodi del Laocoonte:

tutta la scultura della Scilla è oscenamente rigida in ogni sua componente, tutti i busti dei compagni di Ulisse non hanno alcuna torsione e sembrano manichini mal fatti, atteggiati in vetrina  da un bottegaio per esporre abiti che invece non ci sono. Nessun corpo rispetta poi l’estensione nelle tre dimensioni spaziali che ogni buona scultura deve avere, soprattutto in una rappresentazione così concitata. Ciascun personaggio è di per sé preda di uno schematismo e di una rigidità antiestetiche che addirittura spaventano.

I rapporti tra le varie parti dell’opera poi, mancano anch’essi di una qualsiasi armonia compositiva e paiono assemblati per caso in assenza di un qualsiasi studio preventivo.

 

   
Particolari di Scilla e dei compagni di Ulisse

 

 

La testa del timoniere di Ulisse che la critica sostiene essere “simile” a quella del Laocoonte, è invece completamente diversa e prodotta sicuramente da altra mano.

 

    

  Testa del timoniere della Scilla        Testa di Laocoonte

 

 

 

 

a)      i baffi del timoniere sono foltissimi e di spessore uniforme sopra tutto il labbro superiore, mentre quelli del Laocoonte sono molto sottili sotto il naso ed allargano solo verso gli angoli della bocca

b)      i baffi del timoniere nascono addirittura dai bordi laterali delle narici (da ritenersi anche un errore anatomico) mentre nel Laocoonte, come buona scultura richiede, non si sognano nemmeno di sfiorarle.

c)      Lo spazio lasciato libero da barba e baffi attorno alla bocca nel timoniere si conforma con insensati bordi rettangolari, mentre quello del Laocoonte si conforma circolarmente.

d)      Il labbro inferiore del timoniere si estende abnormemente in lunghezza e si estroflette in modo piatto mentre quello del Laocoonte si restringe agli angoli della bocca e si estroflette, carnoso e delicatamente modulato.

e)      Il labbro superiore del timoniere è strettissimo e quasi per nulla estroflesso mentre quello del Laocoonte è di grande carnosità ed estroflessione.

 

f)       La bocca del timoniere ci appare, nel suo insieme, come una fessura allungata e mal fatta nel marmo che ha lo scopo di “sembrare” una bocca senza in fondo esserlo veramente, mentre quella del Laocoonte ci appare di estrema bellezza e di grande ed abilissima definizione

 

g)      Le narici del timoniere sono orrendamente grandi ed estese lateralmente, direi quasi negroidi ed è ridicolo doverle paragonare a quelle del Laocoonte che sono invece piccolissime ed appena segnate ai lati del naso tanto da fare con questo corpo unico ed armonico

 

h)      Gli occhi del timoniere sono più staccati dal naso di quelli del Laocoonte

 

Abbiamo quindi a che fare con due volti che nulla hanno in comune se non il riferimento ad una stereotipata espressione di dolore da secoli canonizzata e presente in migliaia di statue e dipinti (la bocca aperta, le sopracciglia sollevate in alto alla radice del naso e il cuscinetto carnoso laterale delle sopracciglia calato sulle palpebre).

 

Dalla stessa testa del timoniere traspare la rigidità monolitica del parallelepipedo da cui è stata ricavata, ciò è evidenziato soprattutto dalla foto 768 che ci mostra come i bordi esterni della barba scorrano paralleli verso il basso e come essa si interrompa poi orizzontalmente in basso con una linea quasi perpendicolare ai lati esterni mistificata dalla compressione sul corpo prodotta dalla pressione della mano di Scilla. Il volto stesso è piatto e privo della convessità che dovrebbe caratterizzarlo e la rettangolarità dello spazio tra barba e baffi è, a questo punto, resa necessaria al fine di conformarsi armonicamente ad un assetto circostante che tende al rettangolare.

Direi che più che con una testa scolpita abbiamo a che fare con un blocco lapideo sbozzato in tal forma: con quale coraggio lo si intende assimilare alla testa del Laocoonte?

 

                                                           Testa del timoniere

Il Laocoonte è invece agli antipodi di tutto questo, anzi possiamo dire con sicurezza che esagera in senso contrario: qui i corpi dei personaggi si torcono e si dilatano nelle tre dimensioni dello spazio (il padre soprattutto) come mai avevamo visto in tutta l’arte greca e gli arti loro si concatenano in armonici, fluidi, moti, seppur drammatici, assolutamente ignari alla Scilla.

Una differenza abissale la riscontriamo poi nella conformazione del torace del Laocoonte, esageratamente gonfio mentre, nella Scilla, pur nelle varietà degli sforzi di quel gran numero di personaggi, nessuno dei toraci sfugge ad una, in certi casi, impietosa piattezza.

Non esiste alcuna possibilità che l’autore o gli autori della Scilla siano gli sessi o lo stesso del Laocoonte e mi sembra impossibile che nessuno studioso si sia mai avveduto di questo fatto.

 

 

IL LAOCOONTE E L’ARTE ELLENISTICA

 

Eliminata la possibilità di una attribuzione ai tre di Rodi, ancora ci chiediamo:

ma è veramente greco-ellenistico questo gruppo?

Quel torace tronfio del padre, quando mai lo vedemmo in altre statue del periodo? Gli artisti greci ben sapevano che un torace del genere appartiene a persone piuttosto in basso nella scala intellettuale e non può certo caratterizzare il rango elevatissimo di sacerdote.

Neppure i satiri, i fauni o i giganti, così prossimi al regno animale, venivano scolpiti con toraci del genere!

Il corpo stesso del padre poi, di nuovo non ha nulla a che fare con quello di un vecchio sacerdote ultra sessantenne ma, molto più coerentemente, con quello possente di un Ercole nel fiore degli anni! Cosa mai c’entra questa “nudità eroica” con la rappresentazione della vecchiaia di una persona che, per la funzione che esercita, probabilmente non si sarà nemmeno mai sognata di svolgere attività fisiche?

Nessun artista greco avrebbe scolpito Laocoonte in quel modo!

Assai anacronistico ci pare poi l’atteggiamento di questo “vecchio”, il quale pare tutt’altro che soccombere alle spire dei due serpenti, ma con quelli combattere alla pari e quindi in antitesi con l’episodio che la mitologia ci tramanda.

C’è, in tutta l’arte greca, un pacato senso di sottomissione al Fato, un senso di accettazione, anche nelle tragedie più grandi, dell’azione della natura che ci prevarica, concepita come mezzo con cui il Fato si manifesta. Niente di tutto questo nel Laocoonte, nessun accenno a soccombere o all’accettazione, nemmeno subliminale, del Fato: il “vecchio” padre ci pare invece strenuamente lottare contro una natura maligna che egli cerca, al contrario, con tutte le sue forze, di prevaricare e domare.

Non vediamo in quest’opera, nulla dello spirito ellenico che pervase allora gran parte del mondo conosciuto, bensì qualcosa che intensamente ci riporta ad un altro spirito e cioè allo spirito che, 1500 anni dopo, pervase quel moto meraviglioso che chiamiamo Rinascimento!

Questo infatti trasuda dall’atteggiamento del Laocoonte che, prepotente, con tutte le sue forze, si erge contro la natura che lo opprime:

lo spirito di un Rinascimento impegnato con tutte le sue forze a trascendere, con l’opera e l’intelletto, la natura che lo circonda!

 

 

GLI ERRORI NEL LAOCOONTE

 

Ma veniamo al primo errore clamoroso che ci impedisce di considerare questo gruppo come opera di un artista greco: le dimensioni del figlio maggiore alla sinistra del padre.

Questo “bambino” è di un’altezza (misurata considerando eretti sia Laocoonte che il figlio) che arriva nettamente al di sotto dei pettorali del padre! Non più di un metro e dieci quindi!

Un bimbo di queste dimensioni non può avere più di dieci anni, cioè un’età in cui i processi formativi sia ossei che muscolari, discriminanti dell’adulto, sono ancora ben lontani dal cominciare a manifestarsi! Un bambino di dieci anni ha ben poco di diverso da uno di quattro o cinque se non le dimensioni e gli scultori greci ben sapevano che egli andava scolpito non solo in assenza di muscolature evidenti ma che, anzi, un leggero strato di adipe doveva ricoprirle al fine di rendere l’aspetto indifeso e l’intrinseca debolezza tipica dell’infanzia. Se manca la percezione di un aspetto indifeso e l’impressione di debolezza, manca anche la percezione dell’infanzia e, ripeto, l’arte greca, questi principi li conosceva benissimo.

Come mai questo “bambino”, meno che decenne, alto non più di un metro e dieci, si presenta invece con i rapporti fisici di un Apollo di età superiore ai vent’anni?

Pettorali strepitosi, simili addirittura a quelli del padre, addominali da mister universo splendidamente contratti, come appunto solamente un culturista potrebbe fare, spalle larghe e possenti, gambe snelle ma muscolate, in modo tale da parerci poter correre i cento metri in meno di 10 secondi! Se isolassimo questa figura dal contesto sarebbe sicuramente interpretabile come un Apollo di non meno di 22-23 anni, altro che bambino di 10! Come non ci si è potuti accorgere che questo personaggio è la rappresentazione ridotta di un uomo adulto, non assimilabile in alcun modo ad un bambino di dieci anni di cui ha solamente la statura ed è quindi una figura assolutamente ridicolaPossibile che una figura, perché è bella (perché sicuramente è bellissima) debba essere percepita anche “giusta” in un contesto invece totalmente errato?

Questo errore non ritengo possibile che sia stato fatto da un artista greco, anche se giovane:

la tradizione artistica ellenica, antica di quasi tre secoli, era in grado di dare anche ai giovani artisti dei presupposti d’insegnamento atti a non cadere in simili errori macroscopici. In poche parole, intendo dire che anche un garzone di bottega appena entrato in un laboratorio greco di scultura era in grado di riconoscere ed evitare, già trecento anni prima, errori di questo genere. Un’altra cosa molto strana è poi il naso del primogenito che si presenta appuntito verso il basso e con una gobbetta al centro: queste sono caratteristiche che compaiono solo in adolescenza molto avanzata e quindi anch’esse non corrispondono all’età che dalla sua altezza dobbiamo dedurre (anche se la punta del naso fosse di restauro rimarrebbe comunque la gobbetta).

 

  

Profilo del figlio maggiore di Laocoonte

 

 

Ma veniamo ad un altro errore che sicuramente un greco non avrebbe mai commesso:

la postura “seduta” del Laocoonte.

Posso essere d’accordo, come dice Paolo Moreno, che la stretta alla gamba destra del serpente abbia provocato la caduta del sacerdote ma, che questa sia avvenuta casualmente proprio sull’altare, lascia molto perplessi. La legge dei grandi numeri ci dice che, nella realtà, c’era la massima probabilità che egli stramazzasse a terra e non proprio sulla parte superiore, tra l’altro estremamente esigua, dell’altare. Che poi la “caduta” sia avvenuta in modo così ordinato e composto, da lasciarlo nella posa in cui solitamente chiunque si siede su uno sgabello, di nuovo ci pare non solo altamente improbabile, ma senza dubbio quasi impossibile. Noi stessi, all’atto di sederci su una sedia, in assoluta tranquillità e possibilità di controllo, rischiamo di non centrarla perfettamente e di cadere, ci risulta quindi risibile e assolutamente non credibile il fatto che una persona, aggredita in quel modo e vincolata nei movimenti da due serpenti che per giunta lo mordono, comodamente si assida su quell’angusto spazio.

Ricordiamoci che non abbiamo a che fare con una foto casuale che potrebbe avere fissato per caso un accadimento estremamente particolare ed inconsueto, frutto di una serie di coincidenze, abbiamo bensì a che fare con l’opera di un essere umano che ha il pieno controllo di decidere quanto sta costruendo e che ha la possibilità e quindi il dovere assoluto, di evitare situazioni che alla mente di chi guarda sembrino “difficili da verificarsi in natura” , “quasi impossibili” e quindi “dinamicamente non credibili”. Nulla esiste di più antiartistico e di fastidioso di una rappresentazione “dinamicamente non credibile”, e questo gli artisti greci lo sapevano benissimo. Queste situazioni possiamo giudicarle credibili solo in foto, e spesso ci infastidiscono lo stesso tanto da stimolarci a sospettare dei fotomontaggi.

Se osserviamo con attenzione infatti, non possiamo fare a meno di chiederci “come diavolo fa una persona, a trovarsi in quella posizione pur essendo stata in tal modo aggredita mortalmente da due serpenti mentre era in piedi?”

Se poi immaginiamo la scultura priva di un dato contingente basilare, cioè le spire dei serpenti, abbiamo la netta impressione che il sacerdote sia comodamente seduto, in posa su uno sgabello, intento ad atteggiarsi nel modo che lo scultore gli suggerisce!

Questo è un altro errore madornale che sicuramente non è possibile attribuire ad un artista greco, seppur giovane, sempre per i motivi sopraccitati.

A conferma della illogicità della postura del Laocoonte, riporto l’immagine che sia Settis che

Moreno utilizzano per giustificarla e cioè quella del guerriero frigio trafitto dalla lancia nel mosaico della “Battaglia di Gaugamela”.

 

  

Guerriero persiano trafitto dalla lancia nella “Battaglia di Gaugamela”

 

 

Entrambi gli autori sopraccitati affermano erroneamente che il guerriero persiano “si getta sulla lancia del guerriero greco (per proteggere il re Dario) e viene sospinto violentemente dall’urto di questa sopra il cavallo” e sostengono pure che la gamba sinistra del persiano è meglio atteggiata di quella destra del Laocoonte in quanto più coerente, così piegata lateralmente, con l’effetto spinta e con la caduta. Niente di più errato, e ce lo dimostra una eccezionalità della situazione e cioè il fatto che il persiano cada appoggiando il fondo schiena proprio sulla sella del cavallo (per Settis e Moreno, “retrostante”): che le asperità posteriori del guerriero vadano a finire “casualmente” proprio sulla sella, cioè dove di solito stanno appoggiate (è un arciere frigio) è quanto mai improbabile e poco credibile, ed è accettabile solo se, presi dalla complessità della battaglia, non si presta attenzione ai particolari. Come stanno i fatti allora veramente? Semplicissimo. Nei tempi in cui i cavalli venivano utilizzati in combattimento era naturalmente molto facile che questi, nel corso della battaglia, venissero colpiti e stramazzassero al suolo, orbene la prima delle cose che si insegnava ad un cavaliere era quindi “come scendere velocemente da un cavallo in caduta per evitare di esserne travolto, e per essere poi immediatamente attivo (per quanto possibile) nella battaglia”. Per capirci bisogna però precisare che, in qualsiasi punto venisse colpito, il cavallo in moto tendeva, per inerzia, sempre a cadere in avanti, e il cavaliere non poteva quindi chinarsi in avanti e scendere girando la gamba sinistra sopra il posteriore dell’animale come si fa quando questo è fermo, in quanto sarebbe precipitato in avanti assieme a quello e facilmente ne sarebbe stato travolto. Si procedeva allora in questo modo (e tante volte lo abbiamo visto in films americani in quanto gli indiani scendevano sempre in questo modo anche quando il cavallo era fermo): si gettava il corpo all’indietro, si sollevava la gamba sinistra il più possibile e la si faceva scivolare vicino alla destra dopodichè si procedeva a scendere a terra sul lato destro del cavallo. Il guerriero frigio, quindi, non si è gettato su nessuna lancia e non è stato da questa spinto in alcun posto, è semplicemente stato trafitto mentre scendeva dal proprio cavallo appena abbattuto e ciò è confermato non solo dal fatto di avere ancora le natiche sulla sella, ma anche dall’altezza del ginocchio sinistro che può essere raggiunta solo sotto sforzo e non può certo essere causata dalla spinta della lancia, spinta che potrebbe, fargli piegare si, la gamba, ma non certo a quell’altezza sconsiderata.

Ecco così dimostrato che un buon artista (come sicuramente fu quello che dipinse il quadro da cui il mosaico venne copiato) non dipinge coincidenze che tolgano credibilità all’immagine e che quindi potremmo giustificare questa postura del Laocoonte solo se si presumesse (esagero per farmi capire meglio) che questi stesse, prima di subire l’assalto dei serpenti, in groppa all’altare su cui adesso è seduto. Non mi meraviglierei che qualcuno, per sostenere lo stesso a tutti i costi l’esattezza della postura, andasse a cercare tracce delle staffe nell’altare e magari degli speroni sui talloni di Laocoonte.

L’identica interpretazione della situazione dinamica, nell’episodio del guerriero persiano, effettuata sia da uno storico dell’arte che da un archeologo, mi lascia molto perplesso e dimostra la difficoltà di comprensione che presentano le situazioni dipinte con una certa complessità dinamica. In questo caso nessuno si è accorto delle grandi capacità dell’artista esecutore dell’opera che è riuscito a concretizzare, in una unica immagine statica, tre momenti in rapida successione: la caduta del cavallo, il contemporaneo districarsi e discendere di lato del cavaliere ed il simultaneo colpo di lancia che non gli lascia il tempo di spostarsi o fuggire. Tutto ciò si avvicina moltissimo ad una sequenza cinematografica ed è il prodotto di una genialità artistica di cui rarissimamente in tutte le epoche ci è dato di trovare l’eguale.      

 

 

LE “STRANEZZE” RELATIVE AL RITROVAMENTO DEL LAOCOONTE

 

Passiamo adesso ad elencare altri particolari riguardanti il ritrovamento che fanno dubitare dell’originalità della scultura.

Partiamo dall’inizio:

a) non si trattò di ritrovamento durante uno scavo iniziato dalla superficie del terreno, ci si sarebbe accorti in questo caso, della sepoltura recente dei pezzi, grazie alla mancanza di compattezza del terreno in superficie, accadde invece che il de Fredis sprofondasse in un vano vuoto, solo parzialmente riempito di terra, cosa che giustificava la scarsa compattezza del terreno, arrivata in quel luogo solo per infiltrazioni.

b) De Fredis sprofondò poi in assenza di testimoni, cosicché l’apertura, entro la quale disse di essere precipitato, poteva invece essere stata aperta molto tempo prima.

c) molto si meravigliarono tutti che la scultura fosse scomposta in frammenti troppo numerosi, e nessuno seppe spiegarsene il motivo (normalmente le statue riportano solamente le fratture dovute alla caduta dal piedistallo)

d) la frantumazione in molti pezzi rendevapossibile il trasporto dei singoli frammenti non solo con facilità, ma anche in incognito, bastava nasconderli in un sacco

e) il ritrovamento avvenne in un giardino, cioè in un luogo in cui probabilmente si poteva lavorare senza timore di essere visti dall’esterno

f) se poi vogliamo operare coi grandi numeri, sembra quanto meno poco probabile che con 1600-1700 anni a disposizione per ricomparire, quest’opera, pregna di spirito rinascimentale, venga scoperta proprio in pieno Rinascimento e per giunta proprio negli anni in cui opera l’unico artista, mai esistito in tutti i tempi, che può essere in grado di produrre una scultura come questa, cioè Michelangelo.

g) faccio poi notare che la frequentazione delle “grotte” (cioè stanze semi interrate di antichi palazzi romani) di Roma, era normalissima da parte dei pittori di allora che cercavano antichi affreschi da cui trarre ispirazione e fu probabilmente questa frequentazione a far scaturire l’idea a Michelangelo.

 

 

PERCHE’ E’ LECITO SUPPORRE CHE SIA OPERA DI MICHELANGELO

 

Chiarito perché questo gruppo non può essere dei tre di Rodi e che molto difficilmente può essere un’opera ellenistica, andiamo adesso ad individuare i motivi per cui è molto più che lecito supporre che si tratti di un’opera di Michelangelo.

La cosa che maggiormente ci mette in sospetto fin dall’inizio è il fatto che egli produca tra il 1494 e il 1495, un “Cupido addormentato” che spaccia per “opera antica” e che poi vende al Cardinale Raffaele Riario ed il sospetto si acuisce mortalmente nel sapere che il Cupido venne anche sotterrato al fine di produrre le incrostazioni terrose necessarie a renderne credibile l’antichità, esattamente come il Laocoonte. Avviene però una cosa importantissima che

può ritenersi una prova del falso, il fatto che Giulio II, una volta acquistato il gruppo, provvide a farlo periziare da Giulio Romano (guarda caso non da Michelangelo che avrebbe dovuto essere ritenuto il maggior esperto in materia) ed il risultato fu quanto mai sorprendente: si scoprì che la scultura non era “ex uno lapide”, come asserito da Plinio, bensì composta da 4 blocchi assemblati in modo perfetto e con le giunture truccate talmente bene che Giulio Romano ebbe notevoli difficoltà a rilevarle. Ci si chiede allora: come mai la statua si frammentò, addirittura in una quantità inusitata di pezzi, ma non nei punti di giuntura dei blocchi, che sono categoricamente i più deboli, bensì in una quantità di altri punti assai più resistenti?

Le prime a frantumarsi in una statua, sono sempre le giunture. Ciò si può spiegare solamente ammettendo che sia stato Michelangelo stesso a scolpire il Laocoonte, che abbia cercato di spacciarlo  per “ex uno lapide” come l’originale e che, per questo motivo, abbia prodotto le fratturazioni fuori dalle giunture dei blocchi, che lui stesso aveva mascherato, sperando che tali giunture non fossero scoperte. Michelangelo sapeva però che, se il gruppo fosse stato analizzato con perizia, le giunture sarebbero saltate fuori, ma se ciò fosse accaduto la scappatoia sarebbe stata semplice:

dato che tali giunture erano così ben mascherate si poteva ben sostenere che, all’epoca, Plinio non le avesse viste ed avesse sostenuto erroneamente l’ipotesi dell’ “ex uno lapide”.

Questa infatti fu l’ultima versione dei fatti.

 

Ulteriormente ci insospettisce il fatto che Giulio II non abbia mai pagato la statua: perché?

Giulio Romano ben sapeva che sarebbe bastato dare un’occhiata ai perni utilizzati per le giunture e valutare le condizioni loro e quelle del marmo in cui erano incastrati per capire l’età della scultura: Giulio Romano lo fece? Molto probabilmente si, visto che il Papa non tirò fuori uno scudo. Giulio II non era un cretino, in una Roma tutta presa da fervori antiquari ma anche abitata da scultori bravissimi avidi di denaro, la prassi del sospetto era senza dubbio all’ordine del giorno, soprattutto nei confronti di chi già aveva prodotto false statue antiche. Ci si era però già troppo compromessi, la fama del Laocoonte aveva travalicato le Alpi e si era oramai sparsa per tutta l’Europa: lo stesso re di Francia ne aveva ordinato una copia in bronzo. Tutto passò così sotto silenzio.

 

Ancor più ci insospettisce il fatto che Michelangelo avesse ottenuto un enorme utile dalla truffa del “Cupido dormiente”, anche quando la truffa viene scoperta infatti, il Cardinale, invece di farlo incarcerare, diventa suo mecenate: pur se scoperto aveva ottenuto da tutta l’operazione un vantaggio enorme e cioè la cosa più agognata da ogni artista, un mecenate. Trasferitosi a Roma subito dopo (1496), al seguito del Riario, ci pare non poco plausibile che decida di nuovo di ritentare la “truffa”, in dimensioni, questa volta “colossali”, tanto più che dalla prima esperienza, anche se scoperto, aveva ottenuto solo grandissimi benefici. Ancora di più ci convince del suo coinvolgimento il fatto che il padre di Michelangelo fosse perseguitato da creditori e strozzini e che necessitasse in continuazione di denaro: il Laocoonte avrebbe dovuto fruttare ben 600 scudi d’oro, una cifra pari all’incirca a 100.000 euro, mentre, per una scultura di eguali dimensioni, Michelangelo non sarebbe stato pagato più di 100 scudi.

 

Non poco ci meraviglia poi, il fatto che la struttura del Laocoonte sia straordinariamente simile a quella della Pietà che Michelangelo scolpisce negli stessi anni a Roma e cioè una struttura pseudo-piramidale con la sommità leggermente sopraelevata su una base pseudo rettangolare (vedi linee rosse). La distanza poi, delle teste centrali (Laocoonte-Maria) di entrambi i gruppi dal lato superiore dello pseudo-rettangolo rosso, si presenta praticamente identica. Ancor più ci inquieta, non solo il fatto che in entrambe le sculture la testa sia inclinata in senso contrario all'inclinazione del busto, quanto il fatto che la sommità di tale pseudo piramide, sia rappresentata, in entrambi i gruppi, dalla testa di un personaggio seduto e che questo personaggio seduto sia, in entrambi, la base portante di tutta la scultura.

 

     

            

Questo il prologo, importantissimo, ma seguitiamo i numerosissimi motivi che ci inducono alla certezza del fatto che il Laocoonte sia opera di Michelangelo: 

1)      il primo l’abbiamo già evidenziato, ed è la strana coincidenza che la statua, con 1600-1700 anni a disposizione, compaia proprio nel sessantennio in cui opera Michelangelo

2)      è ancora più strano che compaia proprio nel periodo della sua giovinezza (l’esuberanza di tale età può suscitare operazioni del genere), quando cioè la sua opera è vittima delle stesse imperfezioni (come dopo vedremo) che assillano il Laocoonte

3)      il primo che accorre a vederlo (incaricato dal papa), mentre viene ritrovato, è il Sangallo che, guarda caso, pensa bene di portare con sé proprio Michelangelo

4)      quando il Laocoonte compare Michelangelo ha 30 anni, considerato che per scolpire una cosa di tali dimensioni e complicazione servono sicuramente diversi anni e considerato che sicuramente, per sopravvivere, egli attendeva nel frattempo ad altre opere per committenti paganti, e considerati i tempi di interramento per far ricompattare in modo credibile il terreno, si può supporre che egli abbia cominciato a scolpirla non dopo aver compiuto 24-25 anni, cioè in grande giovinezza

5)      gli errori del Laocoonte testimoniano, al di là delle enormi capacità di rendere il corpo umano in tutte le sue posizioni ed una maestria sicuramente ineguagliabile nella resa delle muscolature e delle loro contrazioni-dilatazioni, una scarsa esperienza nel costruire l’agglomerato logico-significante dell’opera. E’ questa scarsa esperienza che ci fa collocare più facilmente l’opera nel periodo mediceo in quanto, a differenza del periodo ellenistico, quello rinascimentale non può contare, come già detto, su secoli di esperienza che educhino lo scultore fin dall’inizio della sua attività ad evitare tali errori. Si consideri che quella di Michelangelo è forse tra le prime vere grandi manifestazioni di scultura post-medioevale, egli non ha quindi precedenti secolari a cui poter fare riferimento e da cui trarre insegnamento. Da nessuna “Storia della Scultura” egli può imparare, e quindi diviene quasi ineluttabile che in giovinezza cada in errori anche tragici, non tanto di strutturazione dei corpi e di composizione armonica , in cui è maestro inarrivabile fin dalle prime opere, quanto di assetto logico tra i vari elementi

6)      ai primi studi proposti per il restauro del braccio destro di Laocoonte (privo delle parti muscolari che ne determinassero la postura esatta soprattutto dell’avambraccio), si pensò di replicarlo disteso verso l’alto e fu qui che accadde una cosa stranissima:  Michelangelo intervenne sostenendo che il braccio fosse invece piegato all’indietro e con l’avambraccio diretto verso la testa. Come diavolo poteva supporre una cosa del genere quando nulla lo lasciava pensare?

7)      apparve poi poco tempo dopo, non si sa da dove, un braccio sbozzato alla maniera di Michelangelo che era nell’esatta postura che egli aveva suggerito (ma il Buonarroti rifiutò sempre di trattare quest’argomento) e si cercò in una prima fase di applicarlo alla statua poi l’idea venne abbandonata

8)      a questo punto accadde che il restauro fossa affidato a Baccio Bandinelli (allievo di Michelangelo) che inspiegabilmente optò per il braccio disteso in alto (sembra con l’assenso dello stesso Buonarroti) e così infatti si procedette, determinando la postura che è arrivata fino a metà del secolo XX.  

 

  

Il “Laocoonte” con restauro del Bandinelli

 

La cosa è stranissima, come mai Michelangelo, rimangiandosi quanto detto e probabilmente quanto fatto (il braccio sbozzato alla sua maniera che tutti gli attribuirono) in precedenza, lasciò che il Bandinelli applicasse alla statua un braccio disteso? C’è un’unica spiegazione possibile: possiamo immaginare che l’insistenza di Michelangelo sul fatto che il braccio fosse piegato all’indietro, la comparsa di un braccio atteggiato in tal modo scolpito alla sua maniera e la somiglianza della statua e della postura da lui suggerita con le sue stesse opere, avesse generato delle voci sulla possibilità che il Laocoonte fosse stato da lui stesso scolpito. Si può ipotizzare, quindi, che egli sia stato costretto, per tacitarle, a cambiare pubblicamente la sua opinione e a ripiegare sulla sopraccitata “posizione distesa” del braccio per mettere a tacere le chiacchiere “maligne”. Null’altra spiegazione troviamo a questo inspiegabile cambiamento di opinione.

9)      Nel 1905 venne poi ritrovato il braccio originale del Laocoonte (quello che adesso vediamo nella statua) e, guarda caso, era esattamente identico a quello suggerito e probabilmente scolpito, da Michelangelo!!

10)  Ma a questa coincidenza decisamente improbabile si aggiungeva un particolare che rendeva l’”intuizione” di Michelangelo assolutamente impossibile da manifestarsi: in tutta la statuaria e la pittura greca (se si esclude il cosiddetto “Capaneo”, rilievo dello scudo dell’Athena Parthenos di Fidia) non esisteva nessun braccio disposto in quel modo!!!!

Il braccio del gigante nel fregio dell’altare di Pergamo che Settis e Moreno considerano “simile”, non ha infatti nulla a che vedere con la caratteristica fondamentale di quello del Laocoonte e che è quella di avere l’avambraccio ripiegato e compresso sul braccio nel massimo modo possibile.

 

                                                         

       Il“Capaneo”

dallo scudo di Athena Partenos                     Gigante, dall’Altare di Pergamo

 

 

Vediamo infatti che il braccio del sacerdote esce quasi in orizzontalità con la spalla ed il prolungamento dell’avambraccio mira direttamente alla sua mascella destra; il braccio del gigante invece, si assetta verticalmente sulla spalla e l’avambraccio gira sopra la testa producendo un angolo retto col braccio (quello del Laocconte produce invece un angolo estremamente acuto) e passa addirittura oltre quella.

 

Ugual cosa dicasi per il guerriero persiano trafitto dalla lancia di cui abbiamo trattato sopra: il braccio è infatti atteggiato nello stesso identico modo del gigante di Pergamo.

11)  Questa considerazione, cioè l’avambraccio ripiegato in modo totale sul braccio sarà uno   dei punti fondamentali che ci permetteranno di attribuire il Laocoonte a Michelangelo, infatti potremo vedere come, oltre ad utilizzare spessissimo il braccio sollevato oltre la testa in modo violento e convulso, lui e solo lui, utilizzi la flessione esasperata dell’avambraccio sul braccio anche se in posizioni diverse, in molte altre delle sue sculture e pitture.

12)  Se qualcuno volesse sostenere che le figure michelangiolesche atteggiate in modo simile al Laocoonte (avambraccio alzato e compresso sul braccio) e che gli stessi moti convulsi (direi quasi contorcimenti) che le sue sculture e le sue pitture presentano, sono frutto di una supposta simpatia ed infatuazione che potè prendere il maestro nei confronti di quella scultura, faccio presente anzitutto che la vera postura del braccio si scoprì solo 500 anni dopo col ritrovamento dell’originale e che quindi Michelangelo nulla potava sapere di quell’arto mentre invece esso appare già in posizione molto simile nella prima scultura da lui scolpita (la supposta “Centauromachia”) nel 1492, cioè circa 12 anni prima della scoperta del Laocoonte.

 

  

      La cosiddetta “Centauromachia”, prima scultura conosciuta di Michelangelo

 

Quest’opera è importantissima non solo perché ci propone questo personaggio col braccio alzato e piegato ( e notiamo come esso sia quello centrale, di massima importanza e dominante su tutti gli altri) ma anche perchè tutta la scultura si presenta come un groviglio di corpi convulsamente atteggiati ed esasperatamente contorti in modo quasi innaturale(si tratta di ben una quindicina di personaggi). Tale opera attesta quindi, anche l’innata, intrinseca propensione di Michelangelo ai contorcimenti corporei (nonché il fascino per il braccio alzato e piegato verso la testa) già ai primordi del suo pensiero e ben prima dell’apparizione del Laocoonte.  

 

GLI “ILLOGICI CORPOREI” DI MICHELANGELO

 

Prima di elencare tutte le opere di Michelangelo che ci riportano al Laocoonte sarà opportuno chiarire una caratteristica che unisce profondamente quest’opera a quelle michelangiolesche “giovanili e non”, e che io definisco “illogici corporei”. Michelangelo, come ben vediamo nella Sistina, produce volutamente delle immagini in cui il corpo non corrisponde assolutamente (in parte o in toto) alla natura della persona riprodotta: nella Sistina troviamo infatti corpi di donna che di femminile non hanno assolutamente nulla, dotati di muscolature abnormi da far invidia al il più efferato dei culturisti. Gli uomini stessi hanno poi, spesso, arti e spalle di grossezza smisurata e priva di ogni rapporto con la realtà.

Se prendiamo in considerazione le sculture tali sproporzioni sono evidentissime soprattutto nelle opere della giovinezza:

 

a)      abnormi sono, come ben si sa, le dimensioni del collo, delle mani e della testa e del David, e qui voglio sfatare la giustificazione che normalmente viene data a queste sproporzioni e cioè che sono dovute al fatto che la statua doveva essere vista dal basso. In primis ciò potrebbe riguardare collo e testa ma non esistono giustificazioni per la mano destra che è posta molto più in basso (quasi all’altezza degli occhi dello spettatore), in secondo luogo non si ovvia, ad un simile presupposto inconveniente, ingrossando all’improvviso il collo e la testa, ma si debbono ingigantire tutte le parti della statua man mano che queste si sviluppano verso l’alto.         "David"

 

Gli effetti di falsa prospettiva possono crearsi con entità geometriche, quando mancano termini di paragone e di riferimento in ciò che guardiamo, ma dato che noi sappiamo benissimo quali sono i rapporti del corpo umano, il nostro sistema percettivo, seguendo lo sviluppo del corpo verso l’alto, sa benissimo di che dimensioni deve essere la testa (una volta che le dimensioni vengano lasciate giuste sino alle spalle) per essere corretta e procede indipendentemente, a nostra insaputa, a correggere la percezione rimpicciolita della testa e a farcela vedere di dimensioni normali. Lasciare le spalle di dimensioni normali ed ingigantire improvvisamente la testa è un procedimento scellerato che non supplisce per nulla al rimpicciolimento prospettico come ben si può accertare con la visione diretta dell’opera: quel zuccone continua ad apparire nelle sue enormi, spropositate ed antiestetiche dimensioni. Apro a questo proposito una parentesi sui motivi che potrebbero aver spinto il Buonarroti a scolpire il David in questo modo: probabilmente era sua intenzione riassumere in quest’opera le caratteristiche dell’uomo rinascimentale che anteponeva l’uso del cervello (e quindi della testa) e delle mani (individuate come il mezzo estremamente complesso, senza eguali in natura, che permetteva di realizzare le meraviglie ideate dalla mente) a quello, volgare, del resto del corpo. Certamente cercò di realizzare artisticamente questa impressione ingigantendo testa e mani rispetto al corpo, ma altrettanto certamente non riuscì nel suo scopo ed il David può tranquillamente ritenersi un’opera giovanile senza dubbio “errata”. Probabilmente fu allora considerata con grande rispetto perché c’era consapevolezza nei cittadini fiorentini, ma soprattutto nell’ ”intellighentia” contemporanea, del grande significato umanistico che l’opera avrebbe dovuto avere: cose abbastanza simili accadono ai nostri giorni quando vediamo essere considerato “opera d’arte” un taglio nella tela semplicemente perché convinti in tal modo dai mass media e da “critici” demenziali.

Chiuderemo l’argomento sottolineando il fatto che non sia mai accaduto che, guardando dal basso una statua, anche colossale, che rispetti i rapporti dimensionali medi del corpo umano, qualcuno vedesse la testa più piccola del normale. Infatti, pur guardando dal basso la testa del David ci pare tutt’altro che normale ma la percepiamo invece, proprio come già detto,  per quell’immenso, orrido, gigantesco zuccone che è. Se aggiungiamo poi che, per la legge dei grandi numeri, essendo la statua visibile già da decine di metri di distanza, è molto più lungo il tempo in cui un osservatore la vede da lontano (mentre le si avvicina ed ammesso che lo faccia) che non dalla zona direttamente sottostante e dato che l’allontanamento da un oggetto di quelle dimensioni, già a 15-20 metri, annulla in grandissima parte l’effetto “vista dal basso”, non si arriva veramente a capire perché Michelangelo non si sia reso conto dell’orrendo effetto estetico che aveva prodotto.

Il corpo del David poi, a riconferma della predisposizione  Michelangiolesca all’illogico corporeo, non ha nulla di adolescenziale, ma, a differenza di quello di Donatello (assai più consono alle adolescenziali, bibliche descrizioni), pare più il corpo di un adulto nel pieno della maturità fisica.

b)      Anche la Pietà non è immune da “illogiche interpretazioni corporee”, a ben  guardare infatti, il volto della Vergine Madre è più giovane di quello del figlio ed il fatto che il corpo di questi si trovi disteso sulle sue ginocchia è quantomeno poco credibile e quindi illogico dato che altre due persone avrebbero dovuto depositarglielo in grembo essendo lei, visto il peso del corpo del Cristo, impossibilitata a farlo.

 

  

                                                                           "Pietà" 

 

 Le spalle della Vergine poi  sono troppo larghe a dispetto dell’esilità del volto, molto più ampie di quelle del Cristo. Le stesse dimensioni del corpo della Vergine sono enormi, anch’esse superiori a quelle del Cristo. L’unica differenza dal David è che in questo caso il risultato è grandioso in quanto Michelangelo ottiene tre effetti subliminali concomitanti e cioè: 

1) quello di esaltare l’effetto drammatico del dolore materno (nel riproporsi di una situazione, realizzabile solo nell’infanzia, del figlio disteso sulle ginocchia),                        

2) quello di un avvolgimento del corpo del Cristo (date le grandi dimensioni della Vergine per giunta ingigantite dalla veste sovrabbondante di drappeggi) come all’interno di un protettivo e consolatorio alveo materno,                                                                                  

3) quello della donna che ha perso per sempre l’amato (visto il volto giovane e bellissimo della Vergine).

 

c) lo stesso “Tondo Doni” presenta un errore dimensionale parallelo, il Bambin Gesù è di dimensioni troppo grandi.

 

  

 

 

L’opinione non è certo solo mia, riporto infatti alla lettera da A. Jameson “The Diary of an Ennuyè”, Boston 1865: “...il Salvator fanciullo, con le proporzioni di un gigante;”

d)      Se ancora si avessero dubbi, citerò insieme altre tre opere scultoree, antecedenti il ritrovamento del Laocoonte, che comprovano con certezza assoluta l’attitudine di Michelangelo a produrre i corpi dei bambini di dimensioni ingigantite rispetto a quelle reali e quindi totalmente sproporzionate nei confronti dei personaggi che le affiancano. Trattasi della Madonna Pitti, della Madonna Taddei e della Madonna con Bambino di Bruges: in tutte e tre le opere il Bambino ha dimensioni colossali assolutamente errate.

         

     

    Madonna Taddei                       Madonna di Bruges          Madonna Pitti

 

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Anticipato tutto questo, ecco come e perché il Laocoonte ricade perfettamente in questa metodologia degli “illogici corporei” di Michelangelo per almeno tre motivi:

a.       il corpo del sacerdote che insensatamente non ha nulla di vecchio ma che invece si presenta come quello di un giovane Ercole nel pieno delle sue forze


b.      il torace del “vecchio”, di dimensioni abnormi che più lo avvicinano ad un satiro o a un fauno


c.       l’esecuzione del corpo del figlio maggiore di Laocoonte che sembra avvicinarsi all’errore fatto nel David, tale figlio infatti, come già detto, pur essendo alto non più di un metro e dieci e quindi di età non superiore ai 10 anni, ci appare con caratteristiche apollinee adulte, e cioè con i muscoli sviluppati come un culturista prossimo almeno ai vent’anni. Un adulto, insomma, di dimensioni ridotte. Tale errore è tra l’altro caratteristico nei pittori poco esperti.


 

L’ABBOZZO DEL LAOCOONTE SCOLPITO DA MICHELANGELO

 

Prima di passare in rassegna una quantità altissima di opere del Buonarroti che ci appaiono estremamente simili per concezione alla supposta opera ellenistica, andiamo a trattare di quella che ritengo essere la prima esecuzione del Locoonte portata avanti da Michelangelo e poi successivamente abbandonata, probabilmente per l’atteggiamento errato di una gamba che effettivamente risulta mortalmente antiestetico.

Si tratta del cosiddetto “Prigione che si ridesta”, a mio avviso prodotto assai prima degli altri “Prigioni” (cioè prima del 1500) ed erroneamente a quelli associato.

 

    

 ( “Prigione che si ridesta” ?!)

 Primo abbozzo del Laocoonte.

 

In primis vediamo come tale scultura si differenzi dagli altri “Prigioni” per le dimensioni del blocco lapideo in cui è abbozzato (quasi il doppio degli altri), che ci induce a pensare che nulla aveva a che fare con quelli, dopodichè non possiamo non renderci conto del fatto che tutto il torso, se si eccettua il braccio destro più piegato verso l’alto, risulta la copia speculare (sottolineo “speculare”) del Laocoonte in quanto:

1)      identico è  il torace, egualmente proteso in avanti  

2)      identica è la torsione di lato del torace

3)      identica è la torsione laterale del collo

4)      identico è lo spostamento all’indietro del collo stesso

5)      identica è la postura della testa con la fronte molto arretrata

6)      identica è  la torsione di lato della testa

7)      identica è la conformazione barbata della testa stessa

 

 

Ma andiamo adesso ad analizzare le parti che ci danno ulteriore prova di trovarci di fronte ad un primo abbozzo di Laocoonte:

 

Quasi sicuramente la scultura fu abbandonata per l’errata ed antiestetica posizione della gamba destra , piegata insensatamente e sforzatamente ad angolo acuto col polpaccio compresso addirittura sopra il ginocchio della gamba sinistra. Tale postura ci pare talmente brutta da dubitare addirittura che sia opera del genio Michelangiolesco e ci spinge a chiederci:

perché egli volle contorcerla in tal modo? Ed è qui che una attenta osservazione ci spiega il mistero:

sotto il ginocchio destro della scultura, appare sbozzata una strana, sinuosa conformazione pseudo-cilindrica che scompare dietro il ginocchio stesso ma, come possiamo vedere, tale conformazione pseudo-cilindrica ricompare, sinuosa, da destra sotto il ginocchio e prosegue in quella direzione sovrapponendosi alla coscia sinistra e, tale conformazione pseudo-cilindrica, ci appare come stretta tra la coscia della gamba sinistra ed il polpaccio della destra.

Non ci vuole molto a capire che tali forme sbozzate alludono ad un serpente e la certezza di ciò ce la da proprio la postura assurda della gamba destra:

essa è così contratta perché cerca disperatamente di stringere il serpente dietro il ginocchio e di impedirgli di strisciare verso l’alto!!!

A questo punto ci rendiamo conto di come tale contrazione sia tutt’altro che illogica, anzi, probabilmente rispecchia in pieno il movimento che chiunque farebbe con la gamba, se posto in quella situazione. Ha però un enorme difetto: è profondamente antiestetica.

Ad ulteriore conferma delle similitudini che legano questo abbozzo al Laocoonte, notiamo come anche in quest’ultimo il serpente giri dietro-sotto le ginocchia del vecchio sacerdote esattamente come nell’abbozzo (anzi, vediamo che nel Laocoonte gira addirittura dietro a tutte e due le ginocchia) e continui poi a confermare questa particolare, insistente propensione dello scultore, girando anche dietro-sotto le ginocchia del figlio più piccolo.

Questa posizione tremendamente simile e ripetuta ben tre volte, rappresenta di per sé una prova dell’identica propensione dinamica che sottende ad entrambe le sculture.

 

 

                                            Particolare del serpente che si avvinghia

 

Se guardiamo sotto il braccio sinistro vediamo poi come Michelangelo abbia preservato tutta una parte lapidea che sale verso la mano: probabilmente doveva diventare un’altra parte del serpente stretta nella mano come vediamo nel Laocoonte che conosciamo.

Di nuovo vediamo come,  tra la testa e il polso sinistro, sia stato lasciato un grosso blocco lapideo molto in rilievo: probabilmente qui dovevano concretizzarsi le spire terminali del serpente e la testa di quello, di cui la mano sinistra tentava di respingere il morso (di come anche nel Locoonte originale la testa del serpente si trovasse presso il collo del sacerdote e non sul fianco, argomenteremo alla fine di questa dissertazione).

Dell’antiestetismo della postura della gamba poi, Michelangelo senz’altro si avvide e, non essendo la situazione recuperabile (la parte lapidea sottostante il ginocchio era già stata scavata troppo profondamente), decise di abbandonare il lavoro.

Al fine di evitare altre posture, dinamicamente logiche ma antiestetiche, di compressione del serpente tra le gambe, optò poi per scolpire il personaggio seduto con le gambe tra loro distanti, posizione illogica però esteticamente accettabile.

 

DELL’ IMPOSSIBILITA’ CHE TALE “ABBOZZO” FOSSE L’INIZIO DI UNA COPIA DEL LAOCOONTE

 

Non vorrei però che i personaggi istituzionalmente addetti alla Storia dell’Arte, solitamente avvezzi, spesso in malafede, a contraddire nuove scoperte (per far si che non risulti denigrato tutto il “corpus” degli Storici d’Arte che di quanto scoperto non si era mai avveduto), tentassero di

sostenere che questo “Prigione che si ridesta” rappresenta l’intenzione di Michelangelo di produrre una copia del Laocoonte.

Rammento quindi, onde annullare ogni dubbio, che il braccio piegato verso la testa del Laocoonte è stato trovato nel secolo scorso, quindi nulla lasciava supporre che fosse atteggiato in tal modo. E’ assolutamente impossibile quindi che Michelangelo, 500 anni prima sapesse di quella postura e la realizzasse in una supposta copia del Laocoonte. Ciò poteva accadere solo se il Laocoonte era opera sua.

Nulla poteva essere capito, alla sua epoca, studiando le muscolature residue sulla spalla del sacerdote se non, forse, un’ipotetica direzione del braccio ma, per quel che riguarda la postura dell’avambraccio, compressa in tal modo sul braccio stesso, essa non poteva essere assolutamente determinata in alcun modo in quanto mancava il gomito a cui l’avambraccio era pertinente.

Chiarisco, da un punto di vista anatomico, che il muscolo che agisce sull’avambraccio è il bicipite e questo era totalmente assente al momento del ritrovamento e non poteva quindi dare alcuna indicazione.

 

LE PROVE CONCRETE DEL FATTO CHE IL LAOCOONTE E' OPERA DI MICHELANGELO

 

A questo punto è necessaria una precisazione: gli altri Storici dell’Arte che hanno preso conoscenza di questo mio studio ne hanno riconosciuto l’importanza ma tutti hanno aggiunto “Sarebbe necessario trovare dei documenti che comprovino la scoperta”.

La cosa appare quantomeno incongruente in quanto essi sembrano essersi dimenticati che i documenti servono a comprovare avvenimenti di cui manchino le prove materiali, come si possono chiedere documenti quando, degli eventi, esiste invece una prova materiale di evidenza inequivocabile e non contraddicibile come l’identità del braccio sinistro del Laocoonte vaticano con quello scolpito da Michelangelo nel suo abbozzo di Laocoonte?

Sarebbe come se, nel caso sparisse una persona e, dopo 10 giorni, se ne ritrovasse la testa spiccata dal busto, si richiedessero dei documenti per provarne la morte!

Non esiste infatti la minima possibilità che una persona possa scolpire un braccio identico a quello del Vaticano (scoperto solo nel 1906) senza averlo mai visto!

Perché non di somiglianza si tratta ma di assoluta identità e, ottenere l’identità assoluta, è categoricamente impossibile senza la visione diretta dell’originale. Perché questa cosa sia possibile dovrebbero verificarsi una quantità inimmaginabile di coincidenze che velocemente esemplifico:

1)      l’inclinazione dell’attaccatura del braccio alla spalla ha almeno 50 varianti possibili verso l’alto (volendo considerare varianti di un grado, se si considerano di mezzo grado diventano addirittura 100) tra cui “casualmente” dovrebbe essere stata scelta da Michelangelo quella identica alla scultura del Vaticano

2)      l’angolo formato dall’avambraccio col braccio ha anch’esso almeno 50 varianti plausibili di apertura verso l’alto (sempre considerando varianti di un grado) e dovrebbere essere stata anche qui, “casualmente” scelta da Michelangelo, quella identica al Laocoonte vaticano

3)      pur ammettendo che “casualmente” Michelangelo avesse riprodotto l’angolo sopraccitato esistono poi almeno 50 variantiplausibili della rotazione del gomito (sempre considerando varianti di un grado) tra le quali sarebbe stata di nuovo scelta, “casualmente”, quella identica alla statua del Vaticano

4)      esistono poi ancora almeno 50 distanze possibili del polso dalla testa del sacerdote (considerando varianti di cm.1) tra cui sarebbe stata scelta “casualmente” quella identica al Laocoonte vaticano.

 

Spero di non dover insistere sul fatto che non esiste alcuna possibilità che queste coincidenze possano verificarsi in concomitanza tutte assieme (già una sola è da ritenersi altamente improbabile) e qualsiasi operatore in campo scientifico non avrà, a questo punto, alcun dubbio nel determinare con assoluta sicurezza che l’autore del Laocoonte è Michelangelo (ma purtroppo gli Storici d’Arte non sono operatori scientifici ma letterari e nulla sapendo delle leggi dei grandi numeri non possono che rifarsi ai procedimenti propri della letteratura, cioè alla ricerca di documenti).

Per chiudere definitivamente l’argomento in assoluta certezza, a riprova di quanto detto sulla postura del braccio, vediamo come, sia il Settis che Moreno che qualsiasi altro storico dell’Arte, non siano riusciti a rintracciare in tutta la figurativa storica alcun altro braccio atteggiato nello stesso modo di quello del Laocoonte vaticano: quello che più gli si avvicina è il braccio del Capaneo dello scudo di Atena (riprodotto più in alto in questa stessa dissertazione), braccio che però non mira alla guancia ma alla nuca e dietro la stessa nuca addirittura si nasconde esibendo così un polso non distante dal volto come quello del Vaticano, ma addirittura seminascosto dietro la testa, risultando perciò, pure se apparentemente simile, invece assolutamente diverso.

Non esiste perciò nessuna possibilità che Michelangelo abbia potuto produrre un braccio identico a quello scoperto 500 anni dopo se non perché ERA STATO LUI STESSO A SCOLPIRE IL LAOCOONTE.

 

 

LE OPERE DI MICHELANGELO AFFINI AL LAOCOONTE

 

Passiamo adesso in rassegna le opere di Michelangelo che più dimostrano affinità con il Laocoonte.       

Vediamo come tra gli “Ignudi” della Sistina, assisi su un cubo lapideo alla stregua del sacerdote troiano, i primi cinque (il primo soprattutto) riportati sotto, abbiano addirittura, come quello, un braccio alzato e piegato verso la testa :

 

        

 

Vediamo poi come anche gli altri “Ignudi” (e sono ben 15), pur essendo in posizioni diverse, siano anch’essi assimilabili al Laocoonte per le posture dinamicamente esasperate che presentano, tutte esibite stando seduti su un cubo di dimensioni, come già detto, simili all’altare su cui siede il sacerdote.

 

       

 

    

 

 

   

 

I “PRIGIONI” E LE LORO POSTURE SIMILI AL LAOCOONTE

 

Posture delle braccia simili al Laocoonte le troviamo poi anche nei “Prigioni”.

 

                                          

   1                                          2                                              3

 

1)      Il “Prigione morente” ha anch’esso il braccio sinistro atteggiato in modo molto simile a quello del sacerdote troiano con una compressione molto forzata dell’avambraccio sul braccio

2)      Il “Prigione barbuto” si presenta anch’egli col braccio in una posizione similare anche se il gomito è, in questo caso, proteso in avanti

3)      Non sfugge a questo principio nemmeno il braccio sinistro del “Giovane prigione” anche se in questo caso l’avambraccio è portato davanti al volto

 

 

Se vogliamo continuare con le sculture notiamo come anche “La Vittoria” presenti una postura del braccio destro diversa da quella del Laocoonte ma che ad essa ci riporta per la forzatura del gesto e per la compressione dell’avambraccio sul braccio.

 

  

La “Vittoria”

 

Posture similari hanno poi anche l’ “L’Aurora” e “La Notte”

 

    

                    

“L’Aurora”                                         “La Notte”

 

 

 

ALTRE POSTURE DELLE  BRACCIA SIMILI AL LAOCOONTE NEL TONDO DONI, NELLA CAPPELLA SISTINA E NELLA “CONVERSIONE DI SAULO”

 

 

        

 

 

      

 

  

I “PUTTI CARIATIDE” DELLA SISTINA

 

Passiamo adesso ad esaminare altre figure della Sistina che presentano posture che dinamicamente si avvicinano a quelle del sacerdote troiano: i cosiddetti “Putti cariatide”, mantenendo coscienza del fatto che tale postura è determinata dal compito che svolgono, cioè di sostenere i capitelli.

 

          

 

   

           

 

 

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LA POSIZIONE DELLA TESTA DEL SERPENTE CHE AVVOLGE LE BRACCIA DEL LAOCOONTE

 

Un ultimo argomento rimane da trattare che non riguarda però la paternità del Laocoonte bensì un clamoroso errore di restauro che si protrae da più di mezzo secolo: la posizione della testa del serpente che avvolge le braccia del sacerdote.

Risulta che tale testa fu ritrovata, all’epoca, nello scavo, ma non si sa se fu mai annessa al gruppo visto che poi, nel 700, scomparve e non fu più ritrovata. Vediamo però che nella copia bronzea del Primaticcio (incaricato nel 1540 di fare il calco dell’opera da Francesco I, che insistentemente gli sottolineò di volerla come apparve dagli scavi e cioè senza parti aggiunte di restauro)la testa del serpente non è presente. Ciò ci induce ad arguire, con ragionevole possibilità di certezza, che anche se la testa era stata ritrovata, sicuramente mancava un frammento di giunzione che permettesse di applicarla alla parte del corpo del serpente che usciva dalla mano sinistra del sacerdote, altrimenti l’operazione sarebbe stata di sicuro portata a termine ed il Primaticcio avrebbe riprodotto tale testa nella posizione in cui adesso la vediamo.

 

  

  Copia bronzea del Primaticcio

 

Ma se mancava un frammento di giunzione, perché tanta certezza del fatto che la testa dovesse trovarsi in quella posizione? Se controlliamo nel Primaticcio, vediamo che il mozzicone che esce dalla mano di Laocoonte va in tutt’altra direzione! Per far convergere la testa del serpente verso il fianco era necessario aggiungere un frammento ad “U” che invertisse la direzione originaria! Il Primaticcio ritenne arbitraria questa ipotesi ed io sono della sua stessa opinione in quanto la dinamica del moto del serpente sottende a tutt’altra situazione.

 

  

 

Il serpente arriva dal mare quindi, poi, da terra, con quale logica avrebbe aggredito Laocoonte (in piedi) partendo dall’estremità del braccio destro per poi scendere lungo la schiena fino al polso sinistro? La logica ci suggerisce un movimento contrario e cioè ci fa pensare che il serpente sia invece salito fino al fianco sinistro del sacerdote e da qui abbia avvolto il braccio destro del figlio maggiore, poi quello sinistro di Laocoonte, si sia poi snodato lungo la sua schiena e si sia quindi avvolto al suo braccio destro. Tre cose ci danno la certezza che questa è la dinamica con cui lo scultore (quasi sicuramente il Buonarroti) presuppose che si  fossero svolti gli eventi e rispettando i quali risolse l’opera:

a)      la postura della testa di Laocoonte, che pare disperatamente cercare di allontanarsi da qualcosa di pericoloso

b)      tutta la scultura ha un assetto “pseudo piramidale” che tende verso l’alto e la logica estetica presuppone che anche il moto del serpente segua questa direzione

c)      la presenza della testa del serpente in alto, nell’atto di mordere il collo del Laocoonte, è assolutamente necessaria per il proseguo e l’esaltazione dell’intento tragico-estetico dell’opera, in quanto porta al culmine la tragicità piramidale che, dalle gambe dei personaggi, si muove in crescendo verso l’alto.

d)      il fatto che un artista degno di tal nome (e con un grande artista qui abbiamo a che fare) non si sognerebbe mai di far mordere Laocoonte più o meno nello stesso punto in cui viene morso il figlio minore: questo, oltre che togliere all’opera la tensione verso l’alto creerebbe una situazione ripetitivo-simmetrica dinamicamente poco credibile e già antecedentemente abbiamo sottolineato come un buon artista rifugga da simili errori.

 

Ritengo che solo un artista mediocre avrebbe potuto scolpire quel serpente con la testa in basso e solo chi di arte è completamente ignaro perché di essa non ha alcuna pratica, può pensare che un grande artista si presti ad una stupidaggine del genere!.

 

CONCLUSIONI

 

Al di là del fatto che lo spirito che permea tutta l’opera di Michelangelo ci spinga ad inserire il Laocoonte tra le sue opere giovanili, al di là della problematica suscitata dalla dinamica incoerente del ritrovamento del gruppo scultoreo, riassumo i dati fondamentali che mi danno la certezza del fatto che il Laocoonte sia opera giovanile del Buonarroti:

 

1) basilare e di per sè stessa conclusiva, come già sottolineato ampiamente, è la scoperta del fatto che uno dei “Prigioni” sia invece uno sbozzo errato del Laocoonte che presenta il braccio sinistro atteggiato in maniera perfettamente identica al Laocoonte del Vaticano, cosa assolutamente impossibile a realizzarsi senza avere perfetta conoscenza della struttura del braccio imitato.

 

2)      il fatto che Michelangelo asseriva che il braccio mancante avesse esattamente la postura di quello che invece si scoprì solo 500 anni dopo

3)      il corpo erculeo, assurdo del sacerdote, errore che rientra perfettamente negli “illogici corporei” tipici di Michelangelo

4)      la ripetitiva, direi totale, attitudine michelangiolesca ad errare per eccesso le dimensioni dei fanciulli e degli adolescenti

5)      La sua naturale propensione a dipingere e scolpire personaggi col braccio atteggiato in modo simile a quello destro del Laocoonte.    

 

 

IL MOVENTE

 

Come in ogni processo che si rispetti c’è, anche in questo caso, la necessità di determinare un movente, la motivazione cioè che spinse Michelangelo a scolpire il Laocoonte ed a fingere che fosse un’opera greca.

Bene, come già ho evidenziato, se veramente fu lui il colpevole, Michelangelo dovette avere tale idea e cominciare a svilupparla, attorno ai 24-25 anni, era quindi, all’epoca, giovanissimo si, ma già cosciente delle proprie immense capacità: chi ha già scolpito la Pietà, il Bacco Ubriaco ed ha probabilmente in fieri il David, non può non essersi reso conto del proprio strapotere artistico.

Cosciente anche e soprattutto, di poter non solo rivaleggiare, ma anche sopravanzare la scultura  greca classica (nella resa dei corpi e delle loro muscolature) che tutti all’epoca evocavano come l’esempio insuperabile a cui semplicemente tendere per imitazione, la sua giovane età, la coscienza delle sue grandi capacità ancora non sufficientemente riconosciute e la sete di fama che lo dominava, gli fecero balenare alla mente un’idea geniale:

riprodurre un’opera dell’antichità classica, reputata un grande capolavoro, frantumarla, seppellirla e farla ritrovare. Una volta che questa fosse stata riconosciuta dai contemporanei come un inarrivabile capolavoro attico, egli se ne sarebbe uscito poi con le prove del fatto che era stata scolpita da lui. Quale prova maggiore ed indiscutibile poteva essere data del fatto che lui fosse il più grande scultore non solo del suo, ma di tutti i tempi?

Ma tale opera doveva avere alcune caratteristiche:

a)      doveva, già nell’antichità, essere ritenuta un capolavoro assoluto

b)      non dovevano esisterne copie al fine di non dovere attenersi a degli schemi preconcetti, per poter così liberare al pieno la creatività e poter dare al mondo qualcosa di totalmente nuovo.

 

Quale opera si prestava meglio allo scopo del Laocoonte, di cui non esisteva copia alcuna e che era descritto da Plinio come la più bella delle opere “superiore a qualsiasi altra di bronzo o dipinta”?

Scolpirla, farla passare per quella descritta da Plinio e poi dimostrarsene l’autore lo avrebbe consacrato non solo come il più grande degli scultori ma avrebbe altresì consacrato, attraverso le parole di Plinio, il fatto che la sua opera era anche superiore a quelle pittoriche. Quale occasione migliore per chiudere i conti con quello “sbruffone” di Leonardo che apertamente sosteneva la superiorità della pittura? Si il Laocoonte era proprio l’opera giusta!

Come mai Michelangelo invece rimase nell’ombra e non rivelò mai la paternità del gruppo scultoreo?

Michelangelo fu probabilmente sopraffatto dagli eventi, uno soprattutto lo costrinse al silenzio: l’interesse spropositato di papa Giulio II per la statua. Il Papa infatti intervenne quasi subito, sopravanzando tutti coloro che erano interessati all’acquisto e la ottenne, pagandola ben 600 scudi d’oro. In sostituzione di parte della cifra, al de Fredis, che l’aveva ritrovata, vennero poi anche dati degli incarichi presso la curia, cosa che complicò ancor più la vicenda.

Poteva Michelangelo a quel punto rivelare che era tutta una burla? Rivelarlo a un Giulio II, papa guerriero dal temperamento quantomeno iracondo e che non si faceva alcun problema ad appendere per il collo i suoi nemici?

Di certo il de Fredis, chiaramente suo complice, non sarebbe più uscito da Castel Santangelo, e lui stesso doveva temere simile sorte se non peggio. Per questo probabilmente Michelangelo decise di tacere ed il suo piano svanì nel nulla: nascose allora chissà dove il braccio che probabilmente sarebbe dovuto servire per dimostrare che la scultura era opera sua e lasciò che le cose prendessero tutt’altra piega.

Il ritrovamento così tardivo del braccio originale è anch’esso un indizio a favore della paternità michelangiolesca: come mai, visto che qualcuno lo possedeva, mai si fece avanti per offrirlo a Giulio II, che sicuramente lo avrebbe pagato a peso d’oro?

 

Siamo in ogni caso in grado di ipotizzare adesso, anche i motivi che spinsero Michelangelo a scolpire il vecchio sacerdote come una specie di Ercole guizzante di muscoli.

Laocoonte era colui che sosteneva il vero (cioè che il cavallo era pieno di armati) e venne impedito di dimostrare tale verità dall’intervento dei serpenti inviati dalla divinità (Athena):

non sarà forse che egli pensò di rappresentare in quelle forme l’ “uomo rinascimentale”, strenuo difensore dell’umanesimo e delle verità empiriche, soffocato invece dagli inviati dalla divinità, cioè i rappresentanti del mondo religioso?

Se veramente questo volle fare Michelangelo, tale simbolismo riscatta in pieno gran parte degli “errori” sopraccitati: saremmo allora di fronte ad un capolavoro che immensamente trascenderebbe i limitati intenti che il semplice riferimento mitologico sottende. 

                                                              Alberto Cottignoli

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