domenica 21 maggio 2017

Chi è Francesco Sicheri?

Tornano le interviste di Un uomo qualunque!!
Abbiamo intervistato un intervistatore (un intervistatore vero!!) che ha intervistato un sacco di musicisti importanti! (tra cui il povero Chris Cornell).
Quindi vale la pena di leggere quello che ci ha raccontato...

Anni?
29
Luogo di nascita?
Riva del Garda
Che scuole hai fatto?
Ho frequentato il liceo a Riva del Garda, facendolo decisamente male, e finendolo a Roma, dove mi sono trasferito in pianta stabile. A questo sono seguiti cinque anni di Università con due tesi: dedicata all’opera di Verdi e Donizetti la prima, ed al settore musicale e alla ricezione del prodotto musicale la seconda.
Dove vivi?
In questo momento a Orte, vicino Roma, dove mi sono trasferito per vivere con la mia fidanzata.
Stai facendo il lavoro che hai sempre sognato?
Forse. Quando ero piccolo, alle elementari, ho scritto un tema fingendo di essere un giornalista sportivo. Quando sono cresciuto poi ho deciso che avrei fatto il musicista, ma alcuni eventi non troppo felici hanno bloccato la riuscita del mio progetto proprio quando un contratto discografico era pronto sul tavolo. Un giorno, dopo aver sofferto a sufficienza, ho deciso di abbandonare quella pista perché strettamente legata alla morte di un amico troppo importante. Parallelamente non ho mai smesso di scrivere, ho iniziato quando ero piccolo, senza alcuna direzione e senza prospettive, ed ho continuato a farlo anche quando sembrava inutile. Nel momento in cui la vita mi ha obbligato a decidere dove dirigere i miei sforzi sapevo soltanto che la musica avrebbe dovuto far parte del mio futuro. Avevo già la scrittura a mia disposizione, così non ho fatto altro che unire le due cose. Oggi mi occupo di musica e vivo in un mondo che mi è sempre sembrato essere quello più adatto a me. Se non è il lavoro che ho sempre sognato è sicuramente una sua nuova versione.
Cosa ti dà più piacere quando sei al lavoro?
Anzitutto il fatto di poter lavorare in continuo contatto con persone di paesi diversi. Avere a che fare con colleghi provenienti da tutto il mondo è qualcosa che mi stimola costantemente, perché ho la possibilità di conoscere modi diversi di lavorare, e modi diversi di approcciarsi alla musica. L’altra grande fortuna del mio lavoro è quella di poter arrivare a parlare con persone che hanno costruito e fatto la fortuna di questo settore, spesso persone delle quali avevo il poster appeso in camera quando avevo 15 anni. Sono consapevole del fatto che molti darebbero qualsiasi cosa per essere nella mia posizione, per incontrare i propri idoli, e per poter fare loro qualche domanda. Questo è il motivo per cui cerco sempre di dare il meglio, ed è anche la ragione per la quale tutti i giorni, attraversando le difficoltà che ognuno di noi affronta, cerco sempre di concentrarmi sul tirar fuori tutto ciò che di buono posso dal mio lavoro.
Cosa ti fa arrabbiare?
L’indifferenza verso quello che sta affondando il mondo che amo. Il settore musicale sta attraversando un periodo pericoloso, e la maggior parte delle persone fa finta di non accorgersene. Quando i dischi non vendono, gli artisti muoiono: non è un ragionamento difficile.
Per il vostro lavoro volete essere pagati? Lo stesso vale per i musicisti. Finiamola con le stronzate.
Quando si rende disponibile un brano perché sia scaricato, non si sta “condividendo” qualcosa, si sta rubando. Quando si pensa che Spotify e simili (servizi che io per primo avevo creduto una valida soluzione) siano il nuovo modo di fruire la musica, si sta dando per buono il fatto che gli artisti non vengano pagati per quello che meritano. Nell’editoria non è diverso, nel giornalismo non è diverso.
L’avvento di Internet ha fatto credere alle persone che ogni contenuto debba essere istantaneamente disponibile, in ogni dove ed in ogni quando, senza sforzo (da parte di entrambe le parti) e senza un costo, questo perché “semplicemente” fruibile tramite un qualsiasi dispositivo in un lasso di tempo pressoché inesistente. Il fatto è che ogni contenuto richiede il lavoro di persone le cui vite non hanno nulla a che fare con la gratuità, ogni lavoro richiede tempo e sforzi, entrambe peculiarità che meritano, se valide, di essere retribuite.
Progetti per il futuro?
Accettare ogni nuova sfida. In questo momento ho un nuovo romanzo che sta nascendo e si sta sviluppando in modi che non avevo previsto, ed allo stesso tempo mi è stato proposto di scrivere un libro a quattro mani con un musicista che ha speso la sua vita sui palchi di Tina Turner, Joe Cocker, Rod Stewart, e Ray Manzarek. È un progetto che prevede un buon periodo di tempo a Nashville e che mi porterà a mescolare molto di quello che ho fatto fino ad ora con ciò che una pubblicazione di questa levatura richiede. Inoltre, all’infuori di quello che riguarda la scrittura, voglio espandere l’attività dello studio di grafica che ho aperto due anni fa, con il quale di recente mi sto concentrando sulla produzione video.
Chi è la persona più interessate che hai intervistato?
Se dovessi rispondere per istinto, sarei obbligato a dire: Eddie Van Halen, ma così facendo non sarei completamente onesto. Quell’intervista con Eddie è sicuramente uno dei momenti più alti della mia carriera, ma è anche un’intervista “come tante”, non a causa del personaggio quanto piuttosto a causa del modo in cui l’intervista si è svolta. Non tutte le interviste sono uguali, alcune hanno un fine commerciale, mentre altre semplicemente non hanno un fine e pertanto permettono una libertà diversa. Quella con Eddie Van Halen è stata un’intervista da manuale, sia per il fine commerciale della sua pubblicazione, sia per le restrizioni imposte alle domande. Ciò non toglie che l’emozione è stata molta.
Un anno fa ho avuto modo di intervistare Janet Feder, una chitarrista di Boulder (Colorado) che si è specializzata in quella che è chiamata “chitarra preparata” (ovvero l’atto di applicare alle corde della chitarra degli oggetti in modo da creare nuove sonorità in maniera completamente estranea all’effettistica digitale). Janet nel tempo è diventata un’ottima amica e la sua è sicuramente una delle interviste più interessanti che io abbia mai condotto. Fra le altre potrei menzionare Mikael Akerfeldt degli Opeth, Beth Hart, John Scofield, Steve Vai, Gavin Harrison… ma la lista potrebbe continuare troppo a lungo per esaurirla completamente.
Come scegli chi intervistare?
Ogni intervista nasce in un modo diverso, può capitare che i miei contatti stampa mi inviino del materiale da ascoltare e che io decida, in base a ciò che ho sentito, di voler intervistare un determinato musicista, allo stesso tempo però può succedere anche che sia la rivista per cui lavoro stabilmente ad indirizzarmi verso una specifica band o un artista. Non c’è una regola fissa. Quando però sono io a prendere la decisione, è fondamentale che l’album in questione mi colpisca. Prima di mettermi in contatto con il management per un’intervista ascolto sempre più volte il materiale che mi viene inviato, soprattutto durante una sessione di corsa, che è il momento in cui riesco a indirizzare un’attenzione particolare a ciò che ho in cuffia. Quando ho trovato un album che mi interessa, allora inizio a prepararmi ed a raccogliere le informazioni che ritengo necessarie. Dopo questo passaggio per stendere l’intervista non impiego molto, solitamente un’ora o poco più.

Cosa ti lascia un’intervista?
È una sensazione particolare, che riunisce timidezza, comprensione, e, in un certo senso, solitudine. Nella mezzora che solitamente mi viene concessa con gli artisti, si entra in una dimensione che ha poco a che fare con la quotidianità. Spesso i miei interlocutori sono in tour, o comunque sono lontani da casa, ed è proprio in quei momenti che molti di loro decidono di lasciar entrare me, uno sconosciuto, nella loro vita personale. È come se così facendo si sentissero meno lontani dal proprio mondo. Quando questo succede anche mezzora di tempo diventa un’eternità, e quello che un’intervista mi può lasciare diventa qualcosa di molto simile ad un’amicizia al suo principio.






per saperne di più
http://www.francescosicheri.it/


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