domenica 24 dicembre 2017
Elogio della follia
ELOGIO DELLA FOLLIA
di Erasmo da Rotterdam
Si tratta di un'opera molto originale in cui, con toni ironici e nel contempo estremamente persuasivi, l'autore affronta l'insolito tema della Follia, per sostenere che essa sarebbe la vera dominatrice dell'intera civiltà ma anche dell'esistenza di ciascun uomo, sia egli un ecclesiastico o un laico, un saggio o un ignorante, un potente o un umile.
La Follia, che viene allegoricamente rappresentata come una dea in vesti di donna, sarebbe infatti all'origine di ogni bene sia per l'umanità, sia per gli stessi dèi che riceverebbero al pari dei mortali i suoi doni: "io, io sola sono a tutti prodiga di tutto".
Ciò vale in primo luogo per il dono della vita, considerato che nel momento in cui sia l'uomo che il dio si dedicano alla procreazione debbono necessariamente "abbandonarsi un poco a qualche leggerezza e follia".
Nessuno genera o è stato generato se non grazie all' "ebbrezza gioiosa" della Follia. E perché un'esistenza sia felice è indispensabile che in essa trovi spazio il piacere, e cioè ancora una volta "un pizzico di follia".
Ma anche nell'ambito dei rapporti umani, dal matrimonio all'amicizia, è merito della Follia se i vincoli personali resistono felicemente, appunto "nutrendosi di adulazioni, scherzi, di indulgenza, di errori, di dissimulazioni".
Ugualmente la tenuta dei rapporti sociali, e quindi l'esistenza stessa della società, dipendono dall'ausilio della Follia.
Ma più di tutto la Follia rappresenta l'unica guida per accedere alla vera sapienza: poiché infatti tutte le passioni, tutti gli umani errori e tutte le umane debolezze, rientrano nella sfera della Follia, saggio è colui che si lascia guidare dalle passioni.
Precisa l'autore che questi elementi emotivi "non solo assolvono la funzione di guide per chi si affretta verso il porto della sapienza, ma nell'esercizio della virtù vengono sempre in aiuto spronando e stimolando, come forze che esortano al bene".
Di conseguenza non può considerarsi saggio invece colui che si fa guidare soltanto dalla ragione, essendo simile ad uno spettro mostruoso "un uomo così fatto, sordo ad ogni naturale richiamo, incapace di amore e di pietà"..."un uomo cui non sfugge nulla, che non sbaglia mai, che tutto vede, tutto pesa con assoluta precisione, nulla perdona; solo di sé contento...lui solo tutto; senza amici, pronto a mandare all'inferno gli stessi dèi, e che condanna come insensato e risibile tutto ciò che si fa nella vita".
E' preferibile quindi l'uomo qualunque, "uno della folla dei pazzi più segnalati che, pazzo com'è, possa comandare o obbedire ad altri pazzi, attirando a sé la simpatia dei suoi simili...; uno con cui si possa convivere, che infine non ritenga estraneo a sé niente di ciò che è umano".
Ritengo che la concezione della follia espressa da Erasmo da Rotterdam da una parte giunge a sminuire eccessivamente il ruolo e l'importanza che deve essere riconosciuta anche alla razionalità nell'ambito dell'esistenza umana, e dall'altra sembra differenziarsi sostanzialmente rispetto alle più moderne teorie sul tema della pazzia, rappresentata in termini decisamente meno positivi, come una via di fuga dalla realtà (si pensi a Pirandello), oppure come un'emarginazione dalla società. A quest'ultimo proposito Cechov, nell'opera "La corsia n.6", affronta il tema della pazzia anche dal punto di vista scientifico (era laureato in medicina) per dimostrare come essa rappresenti il più delle volte una scelta del singolo di estraniarsi dal mondo, ma talvolta - in determinate realtà storiche- un modo per eliminare dalla società chi non rispetta le regole e le convenzioni predominanti nella società. Il protagonista, un medico psichiatra che si occupa dei malati rinchiusi in un manicomio, finirà infatti lui stesso rinchiuso in quel manicomio per aver cercato di riconoscere dignità umana ai ricoverati.
domenica 17 dicembre 2017
domenica 5 novembre 2017
Neural basis of Mindfulness
Mindfulness is the dispassionate, moment-by-moment
awareness of sensations, emotions and thoughts. Mind-
fulness-based interventions are being increasingly used
for stress, psychological well being, coping with chronic
illness as well as adjunctive treatments for psychiatric
disorders. However, the neural mechanisms associated
with mindfulness have not been well characterized.
Recent functional and structural neuroimaging studies
are beginning to provide insights into neural processes
associated with the practice of mindfulness. A review of
this literature revealed compelling evidence that mind-
fulness impacts the function of the medial cortex and
associated default mode network as well as insula and
amygdala. Additionally, mindfulness practice appears to
effect lateral frontal regions and basal ganglia, at least
in some cases. Structural imaging studies are consis-
tent with these findings and also indicate changes in
the hippocampus. While many questions remain un-
answered, the current literature provides evidence of
brain regions and networks relevant for understanding
neural processes associated with mindfulness.
La meditazione
“La meditazione ti può dare la forza e l’autoconoscenza necessarie per ritornare a fare da uno spazio diverso, a partire dal tuo essere. Allora un certo equilibrio, una certa pazienza, una pace interiore e una chiarezza si riversano in tutto ciò che fai e la pressione del fare ti sembra meno pesante o addirittura scompare del tutto”
Jon Kabat-Zinn
Da: L’arte di imparare da ogni cosa
La locanda
La locanda
L’essere umano è una locanda,
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.
Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,
come un visitatore inatteso.
Dai il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!
Anche se è una folla di dispiaceri
Che devasta violenta la casa
Spogliandola di tutto il mobilio,
lo stesso, tratta ogni ospite con onore:
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.
Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,
vai incontro sulla porta ridendo,
e invitali a entrare.
Sii grato per tutto quel che arriva,
perché ogni cosa è stata mandata
come guida da lontano.
Rumi
Tratto da: Riprendere i sensi
Jon Kabat-Zinn
Dialogo nella coppia
Dialogo e comunicazione nella coppia
Uno degli ingredienti principali per una buona relazione di coppia è senza dubbio la comunicazione: la capacità di comunicare è considerata dagli psicologi uno degli elementi più importanti per il successo di un rapporto amoroso.
L’esperienza ci mostra come le coppie, soprattutto all'inizio del loro rapporto, parlano molto: quando si è innamorati si hanno tante cose da dirsi e si ascolta tutto quello che l'altro racconta. In questa fase, l’ascolto e lo scambio sembrano facili, la comunicazione e il dialogo fluiscono senza problemi e sembra quasi impossibile che ci sia chi trova difficoltà…
Può accadere che, nel tempo, la comunicazione diventi invece più essenziale e difficile. I ritmi intensi delle giornate concedono spazi di comunicazione brevi, spesso legati ad avvenimenti o fatti esterni. La coppia si racconta come è andata la giornata, parla delle cose fatte e si organizza su quelle da fare, ma non parla più del “noi”.
Una delle difficoltà che molte coppie sposate lamentano è “Parliamo poco tra noi. Diciamo tante cose, ma non riusciamo a parlare di noi”. Allora la capacità di comunicare diminuisce e lascia spazio a silenzi ambigui e a sentimenti inespressi. accompagnati da emozioni quali rabbia, delusione, chiusura.
Dunque appare fondamentale per una coppia riuscire a mantenere vivo nel tempo il dialogo, stabilire un confronto quotidiano con il partner e prendersi il “tempo del noi”.
Comunicare è qualcosa che s’impara e si coltiva.
Perché comunicare?
Solo attraverso la comunicazione ogni persona si mette in relazione profonda e a confronto con un altro; e solo in quel momento riesce a incontrare veramente se stessa e a incontrare veramente l’altro. E’ proprio la comunicazione, il confronto con un altro che ci permette di definire il più profondo di noi stessi, di chiarirlo e conoscerlo. La comunicazione inoltre, è lo strumento principe per capirsi, per progettare, per agire insieme.
Si comunica per conoscersi:
la conoscenza reciproca è fondamentale in qualunque rapporto di coppia: è indispensabile conoscere a fondo i nostri bisogni, le nostre attese perché allora possiamo attivarci per tenerle in considerazione, renderle reali e far sentire l’altro considerato e accettato. Nel comunicare è importantissimo essere sinceri fino in fondo l’uno con l’altro, senza cedere alla paura di farsi vedere come l’altro ci vorrebbe e senza la paura di non essere amati per quello che siamo.
Si comunica per accogliere ed essere accolti
Il punto di partenza potrebbe essere quello di pensare che quando l’altro parla sta facendo un dono di se stesso. E questo dono va accolto senza giudizi e senza critiche, in modo che si instauri un clima di fiducia e di accoglienza che porta a voler crescere e cambiare. La comunicazione infatti comincia laddove la pretesa cede lo spazio all’ascolto.
Si comunica per sentirsi corresponsabili
La vita di coppia richiede solidarietà, l’attiva partecipazione e collaborazione alla realizzazione dell’altro e al progetto comune. Le forme in cui ciò può concretizzarsi sono molteplici, ma la loro costante assenza, o debole presenza, diventano chiaro segno di scarsa cura e sollecitudine per l’altro e per la strada comune.
Si comunica per chiedere, dare, ricevere.
Il flusso dell’offrire e chiedere, del dare e ricevere, del ringraziare fiorisce spontaneo e continuo dove c’è comunione d’amore, ma va anche ricercato con fantasia e creatività: nei grandi momenti che segnano la vita con prove, gioie, dolori, ma soprattutto nel tessuto del quotidiano, nei piccoli gesti, nei silenzi come nella parola. Con questa comunicazione incessante, con questo scambio di doni la coppia, anche a sua insaputa, diffonde un’atmosfera di calore, di tenerezza, un contesto di accoglienza, che diventa uno dei segni più chiari e fecondi dell’armonia raggiunta.
Papa Francesco e il DIALOGO
«Il dialogo nasce da un atteggiamento di rispetto verso un’altra persona, dalla convinzione che l’altro abbia qualcosa di buono da dire; presuppone fare spazio, nel nostro cuore, al suo punto di vista, alla sua opinione e alle sue proposte. Dialogare significa un’accoglienza cordiale e non una condanna preventiva. Per dialogare bisogna sapere abbassare le difese, aprire le porte di casa e offrire calore umano» (Papa Francesco).
«Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alla sua opinione, alle sue proposte, senza cadere, ovviamente, nel relativismo. E per dialogare bisogna abbassare le difese e aprire le porte» (Papa Francesco).
«Il dialogo è possibile soltanto a partire dalla propria identità. Io non posso fare finta di avere un’altra identità per dialogare. [...] Io sono con questa identità, ma dialogo, perché sono persona, perché sono uomo, sono donna e l’uomo e la donna hanno questa possibilità di dialogare senza negoziare la propria identità. Il mondo soffoca senza dialogo: per questo anche voi date il vostro contributo per promuovere l’amicizia tra le religioni» (Papa Francesco, Discorso alla Comunità di S. Egidio, 15 giugno 2014)
Dall’Amoris laetitia di papa Francesco (nn. 138-141)
136. Il dialogo è una modalità privilegiata e indispensabile per vivere, esprimere e maturare l’amore nella vita coniugale e familiare. Ma richiede un lungo e impegnativo tirocinio. Uomini e donne, adulti e giovani, hanno modi diversi di comunicare, usano linguaggi differenti, si muovono con altri codici. Il modo di fare domande, la modalità delle risposte, il tono utilizzato, il momento e molti altri fattori possono condizionare la comunicazione. Inoltre, è sempre necessario sviluppare alcuni atteggiamenti che sono espressione di amore e rendono possibile il dialogo autentico.
137. Darsi tempo, tempo di qualità, che consiste nell’ascoltare con pazienza e attenzione, finché l’altro abbia espresso tutto quello che aveva bisogno di esprimere. Questo richiede l’ascesi di non incominciare a parlare prima del momento adatto. Invece di iniziare ad offrire opinioni o consigli, bisogna assicurarsi di aver ascoltato tutto quello che l’altro ha la necessità di dire. Questo implica fare silenzio interiore per ascoltare senza rumori nel cuore e nella mente: spogliarsi di ogni fretta, mettere da parte le proprie necessità e urgenze, fare spazio. Molte volte uno dei coniugi non ha bisogno di una soluzione ai suoi problemi ma di essere ascoltato. Deve percepire che è stata colta la sua pena, la sua delusione, la sua paura, la sua ira, la sua speranza, il suo sogno. Tuttavia sono frequenti queste lamentele: “Non mi ascolta. Quando sembra che lo stia facendo, in realtà sta pensando ad un’altra cosa”. “Parlo e sento che sta aspettando che finisca una buona volta”. “Quando parlo tenta di cambiare argomento, o mi dà risposte rapide per chiudere la conversazione”.
138. Sviluppare l’abitudine di dare importanza reale all’altro. Si tratta di dare valore alla sua persona, di riconoscere che ha il diritto di esistere, di pensare in maniera autonoma e di essere felice. Non bisogna mai sottovalutare quello che può dire o reclamare, benché sia necessario esprimere il proprio punto di vista. È qui sottesa la convinzione secondo la quale tutti hanno un contributo da offrire, perché hanno un’altra esperienza della vita, perché guardano le cose da un altro punto di vista, perché hanno maturato altre preoccupazioni e hanno altre abilità e intuizioni. È possibile riconoscere la verità dell’altro, l’importanza delle sue più profonde preoccupazioni e il sottofondo di quello che dice, anche dietro parole aggressive. Per tale ragione bisogna cercare di mettersi nei suoi panni e di interpretare la profondità del suo cuore, individuare quello che lo appassiona e prendere quella passione come punto di partenza per approfondire il dialogo.
139. Ampiezza mentale, per non rinchiudersi con ossessione su poche idee, e flessibilità per poter modificare o completare le proprie opinioni. È possibile che dal mio pensiero e dal pensiero dell’altro possa emergere una nuova sintesi che arricchisca entrambi. L’unità alla quale occorre aspirare non è uniformità, ma una “unità nella diversità” o una “diversità riconciliata”. In questo stile arricchente di comunione fraterna, i diversi si incontrano, si rispettano e si apprezzano, mantenendo tuttavia differenti sfumature e accenti che arricchiscono il bene comune. C’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali. E ci vuole anche astuzia per accorgersi in tempo delle “interferenze” che possono comparire, in modo che non distruggano un processo di dialogo. Per esempio, riconoscere i cattivi sentimenti che potrebbero emergere e relativizzarli affinché non pregiudichino la comunicazione. È importante la capacità di esprimere ciò che si sente senza ferire; utilizzare un linguaggio e un modo di parlare che possano essere più facilmente accettati o tollerati dall’altro, benché il contenuto sia esigente; esporre le proprie critiche senza però scaricare l’ira come forma di vendetta, ed evitare un linguaggio moralizzante che cerchi soltanto di aggredire, ironizzare, incolpare, ferire. Molte discussioni nella coppia non sono per questioni molto gravi. A volte si tratta di cose piccole, poco rilevanti, ma quello che altera gli animi è il modo di pronunciarle o l’atteggiamento che si assume nel dialogo.
140. Avere gesti di attenzione per l’altro e dimostrazioni di affetto. L’amore supera le peggiori barriere. Quando si può amare qualcuno o quando ci sentiamo amati da lui, riusciamo a comprendere meglio quello che vuole esprimere e farci capire. Superare la fragilità che ci porta ad avere timore dell’altro come se fosse un “concorrente”. È molto importante fondare la propria sicurezza su scelte profonde, convinzioni e valori, e non sul vincere una discussione o sul fatto che ci venga data ragione.
141. Infine, riconosciamo che affinché il dialogo sia proficuo bisogna avere qualcosa da dire, e ciò richiede una ricchezza interiore che si alimenta nella lettura, nella riflessione personale, nella preghiera e nell’apertura alla società. Diversamente, le conversazioni diventano noiose e inconsistenti. Quando ognuno dei coniugi non cura il proprio spirito e non esiste una varietà di relazioni con altre persone, la vita familiare diventa endogamica e il dialogo si impoverisce.
Nella vita di tutti i giorni…
Carlo e Sandra sono insieme da circa quattro anni. Carlo si è appena laureato ed è in cerca di un lavoro stabile, che probabilmente otterrà alla fine dei 6 mesi per i quali è stato assunto in un’azienda come ingegnere elettronico. Sono molto contenti di lui e questo lo rende fiducioso. E’ innamorato di Sandra, vuole costruire con lei una famiglia per poterle stare vicino sempre. Sandra invece sta frequentando la facoltà di giurisprudenza: tutti sanno che le mancano due esami e la tesi, ma la realtà è diversa. Da poco più di un anno Sandra non riesce a dare esami: studia, si prepara, ma quando arriva il giorno dell’esame si fa prendere dal panico ed evita di rispondere all’appello. Un po’ per paura di deludere i genitori, un po’ per orgoglio personale che le impedisce di ammettere una difficoltà, dice a tutti di aver sostenuto l’esame, ripromettendosi ogni volta di rifarlo all’appello successivo e di rimettersi in pari senza dover rivelare nulla a nessuno. Non sa dire perché non ne ha mai parlato con Carlo, col quale ha un ottimo rapporto di fiducia e di amore, ma ormai le sembra troppo tardi per non causare una bufera.
Ora però che Carlo comincia a fare discorsi più concreti sul loro futuro, Sandra si rende conto di aver commesso un errore madornale, al quale non sa come rimediare….
Vi chiediamo di mettervi nei panni dei due fidanzati:
- Come affrontereste il problema, da una parte e dall’altra?
- Come trovereste le parole?
- Quale pensate sarebbe la vostra reazione?
- Provate a dirvi se vi siete sentiti capiti, ascoltati, giudicati, offesi
giovedì 14 settembre 2017
Nietzsche e la follia
Nietzsche, viaggio fatale oltre il confine della follia
I giorni più tragici del genio che sfidò il mondo

documentario
https://openload.co/f/N-WFEgnTxS0/Il_Caffe%CC%80_Filosofico_-_09_-_Maurizio_Ferraris_racconta_Nietzsche_e_la_volonta%CC%80_di_potenza.avi
martedì 13 giugno 2017
Emozioni e Sentimenti: cosa sono?
Da
http://www.inftub.com/economia/politica/LA-SOCIOLOGIA-DELLE-EMOZIONI-E63288.php
LA SOCIOLOGIA DELLE EMOZIONI E DEI SENTIMENTI
Definizione
La differenza tra passioni, sentimenti, stati d'animo, emozioni sono sfumate. Il termine passione si configura come una tensione violenta e di una certa durata. A differenza dell' emozione, passeggera, la passione è cronica, acuta, complessa, che polarizza l'attenzione attorno ad un unico oggetto. L'idea di passione indica un cambiamento che subisce l'individuo (si è sopraffatti dal dolore, travolti dall'amare, ecc.); spesso si è usata la simbologia del fuoco (passione ardente, vecchia fiamma, ecc.). Gli stati d'animo sono definiti come sentimenti o emozioni di intensità bassa e durata relativamente lunga. I sentimenti sono più durevoli delle emozioni. Emozioni e sentimenti sono contigui; tuttavia l'emozione si distingue per la sua caratteristica di breve durata e maggiore intensità. Gordon distingue l'emozione, basata su un'attivazione fisiologica, dal sentimento, definito come un insieme di sensazioni fisiche, gesti e significati culturali. Le emozioni, secondo Gordon, si trasformano in sentimento attraverso tre processi: la differenziazione, che elabora l'emozione in moduli complessi e sfumati; la socializzazione, che implica processi sociali, del tipo ricompensa e punizione, e l'adozione di modelli dati dai membri della società; il controllo, che mantiene le emozioni in linea con le prescrizioni sociali.Secondo la Izardl'emozione è un processo che comprende aspetti neurofisiologici, espressivo-motori, e fenomenologici. Per lo psicologo olandese Frijda le emozioni, che hanno una base biologica, sono influenzate da fattori cognitivi come le norme, i valori e l'autoconsapevolezza. Per Plutchik le emozioni si innescano al verificarsi di eventi rilevanti rispetto ai normali bisogni e alle preferenze dell'organismo. Secondo Leventhal l'emozione è il risultato di un sistema di elaborazione che si sviluppa in tre fasi: una fase di ricezione e codifica dell'informazione; una fase di progettazione, in cui si esegue un piano di azione adattiva; una fase di valutazionedei risultati di questo sforzo di adattamento.
Le emozioni vengono considerate patologiche in quattro condizioni: quando sono eccessive e persistenti; quando sono assenti o troppo limitate; quando forti emozioni sono in conflitto; quando vi sono di sconnessioni fra elementi della catena emozionale quali cognizioni, sensazioni, fisiologia e comportamento
Il sonno della ragione genera mostri
http://d-art.it/arte/il-sonno-della-ragione-genera-i-mostri-un-approccio-filosofico-2/2553
Arte
Il sonno della ragione genera i mostri? Un approccio filosofico
AUTORE: Vincenzo Francia
Parte I
Nella storia delle riflessione umana, il pazzo è apparso non solo come una persona «fuori dal mondo», ma come uno che vede il mondo da un punto di osservazione diverso rispetto a quello dei più. In sostanza, la follia mette in risalto i limiti stessi della ragione, indicandole che, per parafrasare Hegel, «non tutto ciò che è reale è razionale» e, in modo particolare, non tutto ciò che esiste può essere contenuto nei limiti della ragione.
Già Platone aveva affrontato il tema, in modo specifico nel Fedro, uno dei suoi dialoghi più celebri, composto intorno al 370 a C. Il grande filosofo si pone la questione se sia più credibile colui che è in preda all’esaltazione oppure chi ne è privo. Egli vede nella «mania» un momento prelogico, che si esprime in quattro forme di follia, cioè l’arte divinatoria, il rapimento mistico, il furore poetico e l’amore. L’uomo, ovviamente, deve superare queste esperienze per tendere alla conoscenza. Tuttavia avverte quasi una forma di nostalgia per una rivelazione della verità che venga non dall’umano ragionamento ma come da una illuminazione dall’alto. «I più grandi doni» – scrive – «ci provengono proprio da quello stato di delirio, datoci per dono divino». Platone porta tre esempi: le sibille, i guaritori e, soprattutto, i poeti e conclude con un’asserzione folgorante: «La saggezza proviene dagli uomini, la follia da Dio», in quanto essa è impulso originario e naturale, indipendente dall’arbitrio umano.
In Platone, dunque, la follia si presenta non come una forza distruttrice, ma come un’ispirazione divina e un amore alla vita.
Un’eco di questa interpretazione forse è possibile riscontrarla anche nel pensiero cristiano. Nel Nuovo Testamento, infatti, San Paolo presenta la vicenda di Gesù Cristo come «la follia di Dio» che si è manifestata più sapiente della sapienza degli uomini. Culmine della vita spirituale, perciò, non sarà la visione razionale del filosofo, ma la condivisione del cammino di Gesù.
Il Medio Evo cristiano, a sua volta, oscillerà tra questi due atteggiamenti: da una parte la ricerca di una grande impostazione razionale, che culminerà nelle Summae teologiche e filosofiche di un Tommaso d’Aquino, di un Bonaventura da Bagnoregio e di un Giovanni Duns Scoto; dall’altra la consapevolezza che non tutto il reale è riconducibile al controllo della ragione, per cui si darà ampio spazio alla credenza nei miracoli, alla potenza delle vere o presunte reliquie dei santi, alle «feste dei folli», al ricorso alla stregoneria e così via.
Con la luce del Rinascimento, proprio quando la razionalità trionfa nella scienza e nell’arte, il tema della follia tornerà a interessare i pensatori. Uno dei più celebri tra loro, Erasmo da Rotterdam, ne farà oggetto di riflessione nell’Elogio della Follia, opera talmente brillante da costituire uno dei simboli dell’intero periodo. Nell’opera, che vide la luce nel 1511, la Follia esalta se stessa e si presenta come una componente indispensabile dell’esistenza umana: senza di essa, la vita non sarebbe pensabile nelle sue molteplici sfaccettature. Erasmo prospetta una tagliente satira contro le condizioni religiose e sociali del suo tempo, mettendo alla berlina la presunta saggezza dei monaci e dei teologi. In campo morale, poi, la follia tende alla santità perché essa, nel senso di Platone e di San Paolo, si eleva al di sopra delle apparenze e tende alla semplicità di una vita vissuta nella fede e nella carità.
A distanza di un secolo Giordano Bruno riprende il tema di un approccio alla realtà che non si risolva unicamente nella dimensione razionale. Egli vede nell’«eroico furore» una forma più alta della razionalità: esso è uno sforzo consapevole, un impeto di conoscenza e un dinamismo di amore. Chi è preso da un tale furore è il vero sapiente, colui che va oltre i limiti del finito, si libera dai legami che lo tenevano avvinto alle cose contingenti e può giungere ad amare l’infinito, cioè Dio, e in Dio ama nel contempo tutte le cose.
La vera follia, dunque, è la pretesa del razionalismo di poter dominare tutto con la ragione, perché facilmente dal razionalismo si passa all’ideologia che è una pretesa onnicomprensiva. Bisogna perciò contemperare ragione e «follia», intelletto e sentimento, perché, secondo l’intuizione di Blaise Pascal, la ragione non è l’unico strumento conoscitivo: «Il cuore ha delle ragioni che la ragione non comprende».
Questa problematica ritornerà sempre nel corso della storia. Tappe importantissime della cultura, ad esempio, saranno il Romanticismo, che riflette sul momento oscuro ed estatico dell’originario atto creativo, e, in tempi più recenti, la psicoanalisi di Freud, che scruta nelle profondità dell’animo umano quell’abisso oscuro e magmatico che sfugge alla consapevolezza.
Parte II
L’autore che più di tutti ha contribuito, nel bene e nel male, a prospettare la problematica del sonno della ragione è Friedrich Nietzsche.
Il suo pensiero, poco sistematico ma ricco di immagini poetiche e di spunti paradossali, risulta ancora oggi di grande fascino per la sua forza contestataria e innovativa. Tra le opere di Nietzsche, di singolare importanza per il nostro argomento appaiono La nascita della tragedia del 1871 e Così parlò Zarathustra del 1883-1885.
Nietzsche si era accostato alle opere di Schopenhauer: da loro aveva imparato che il dolore è l’essenza stessa del mondo e che la natura e il cosmo sono crudeli a causa del grande processo di produzione e dissolvimento a cui sono fatalmente soggetti. Ora, la violenza distruttiva della natura cammina di pari passo con la sua forza creativa; dunque, nell’essere, crudeltà e felicità appaiono inestricabilmente legate e vanno accettate in quanto reali. L’uomo proposto da Nietzsche vive all’unisono con l’essere: accetta il dolore, lo sperimenta su di sé, non lo rimuove, anzi lo assume come momento insuperabile del ciclo vitale.
Qui, però, si pone la differenza tra i due grandi filosofi tedeschi: ambedue partono dalla constatazione della «terribilità del reale»; ma, dinanzi a questo dato, i percorsi speculativi si muovono in direzioni diverse, anzi contrapposte.
Schopenahuer sceglie di opporsi al mondo, prospettando un comportamento etico che miri a superare l’intima struttura della realtà, cioè l’egoismo.
Per Nietsche, al contrario, se l’essere è feroce, l’unica cosa da fare è consentire con questa ferocia e partecipare attivamente alla «festa» del mondo. L’uomo deve affermare se stesso, sforzandosi di rimuovere ogni ostacolo.
Chi è capace di ciò è il «superuomo», il nichilista che accetta la vita, che sopporta questo mondo e il divenire. Egli si sostituisce a Dio, imponendo, con la sua volontà di potenza, la propria soggettività e la pienezza dell’io. La morale tradizionale, imbevuta di cristianesimo, è quella degli schiavi e dei deboli e niente altro esprime il loro rancore e la loro frustrazione di fronte al fallimento a cui sono condannati; mentre, nel superamento dell’umanità, c’è la vera via della salvezza.
Nietzsche smaschera la pretesa di una verità assoluta, perché tutte le nostre convinzione sono collocate in un determinato punto di vista, in una prospettiva entro la quale conosciamo e giudichiamo il mondo. Perciò egli afferma: «Esiste soltanto un vedere prospettico». I nostri concetti, perciò, sono relativizzati da questa prospettiva: un albero, ad esempio, è conosciuto da uno studioso, da un turista o da un povero bisognoso di legna sotto tre prospettive diverse che ne condizionano la conoscenza.
Sottratto alla schiavitù dei falsi valori, l’uomo superiore può impegnarsi nell’amore e nell’esaltazione della vita, nel flusso continuo dell’esistenza, nell’esuberanza della forza e della fierezza. L’uomo è l’essere supremo, fonte di tutti i diritti, che, completamente partecipe del vitalismo del mondo, costantemente si realizza con una volontà di potenza in una ebbrezza dionisiaca.
«Dionisiaco» è opposto ad «apollineo». Esso è il simbolo dell’accettazione integrale ed entusiastica della vita in tutti i suoi aspetti e della volontà di affermarla; è l’oscuro impulso creativo che si oppone alla forma ordinata e standardizzata. Tutta la realtà si basa sulle due potenze, in lotta perenne tra loro e con momentanee conciliazioni. Una loro originale applicazione si ha nel campo dell’arte: lo spirito apollineo domina la scultura, che è armonia di forme, mentre il dionisiaco domina la musica, che è ebbrezza ed esaltazione entusiastica.
Solo il dionisiaco, però, ha permesso ai Greci di sopravvivere, perché ha trasfigurato l’orrore della tragedia nella bellezza dell’arte.
Nel gennaio del 1889, a Torino, Nietzsche ebbe un crollo psichico.
Il sonno della ragione prendeva il sopravvento sulla sua vita personale.
venerdì 2 giugno 2017
Nepal: diario di viaggio
giovedì 1 giugno 2017
Il Karmapa ci spiega come affrontare la vita moderna
http://quotes.justdharma.com/category/karmapa/17th-karmapa/
Everything in life happens due to various causes and conditions coming together. Interdependence reveals the profound implications of this simple fact. It shows us that everything that exists is a condition that affects others, and is affected in turn, in a vast and complex web of causality. As part of that web, we ourselves are […]
17th Karmapa
sabato 27 maggio 2017
correva l'anno 2030: lettera dal futuro di un alieno
Nb: alcuni fatti raccontati sono liberamente tratti dal film The Martian
lunedì 22 maggio 2017
domenica 21 maggio 2017
Chi è Francesco Sicheri?
Abbiamo intervistato un intervistatore (un intervistatore vero!!) che ha intervistato un sacco di musicisti importanti! (tra cui il povero Chris Cornell).
Quindi vale la pena di leggere quello che ci ha raccontato...
29
Riva del Garda
Ho frequentato il liceo a Riva del Garda, facendolo decisamente male, e finendolo a Roma, dove mi sono trasferito in pianta stabile. A questo sono seguiti cinque anni di Università con due tesi: dedicata all’opera di Verdi e Donizetti la prima, ed al settore musicale e alla ricezione del prodotto musicale la seconda.
In questo momento a Orte, vicino Roma, dove mi sono trasferito per vivere con la mia fidanzata.
Forse. Quando ero piccolo, alle elementari, ho scritto un tema fingendo di essere un giornalista sportivo. Quando sono cresciuto poi ho deciso che avrei fatto il musicista, ma alcuni eventi non troppo felici hanno bloccato la riuscita del mio progetto proprio quando un contratto discografico era pronto sul tavolo. Un giorno, dopo aver sofferto a sufficienza, ho deciso di abbandonare quella pista perché strettamente legata alla morte di un amico troppo importante. Parallelamente non ho mai smesso di scrivere, ho iniziato quando ero piccolo, senza alcuna direzione e senza prospettive, ed ho continuato a farlo anche quando sembrava inutile. Nel momento in cui la vita mi ha obbligato a decidere dove dirigere i miei sforzi sapevo soltanto che la musica avrebbe dovuto far parte del mio futuro. Avevo già la scrittura a mia disposizione, così non ho fatto altro che unire le due cose. Oggi mi occupo di musica e vivo in un mondo che mi è sempre sembrato essere quello più adatto a me. Se non è il lavoro che ho sempre sognato è sicuramente una sua nuova versione.
Anzitutto il fatto di poter lavorare in continuo contatto con persone di paesi diversi. Avere a che fare con colleghi provenienti da tutto il mondo è qualcosa che mi stimola costantemente, perché ho la possibilità di conoscere modi diversi di lavorare, e modi diversi di approcciarsi alla musica. L’altra grande fortuna del mio lavoro è quella di poter arrivare a parlare con persone che hanno costruito e fatto la fortuna di questo settore, spesso persone delle quali avevo il poster appeso in camera quando avevo 15 anni. Sono consapevole del fatto che molti darebbero qualsiasi cosa per essere nella mia posizione, per incontrare i propri idoli, e per poter fare loro qualche domanda. Questo è il motivo per cui cerco sempre di dare il meglio, ed è anche la ragione per la quale tutti i giorni, attraversando le difficoltà che ognuno di noi affronta, cerco sempre di concentrarmi sul tirar fuori tutto ciò che di buono posso dal mio lavoro.
L’indifferenza verso quello che sta affondando il mondo che amo. Il settore musicale sta attraversando un periodo pericoloso, e la maggior parte delle persone fa finta di non accorgersene. Quando i dischi non vendono, gli artisti muoiono: non è un ragionamento difficile.
Per il vostro lavoro volete essere pagati? Lo stesso vale per i musicisti. Finiamola con le stronzate.
Quando si rende disponibile un brano perché sia scaricato, non si sta “condividendo” qualcosa, si sta rubando. Quando si pensa che Spotify e simili (servizi che io per primo avevo creduto una valida soluzione) siano il nuovo modo di fruire la musica, si sta dando per buono il fatto che gli artisti non vengano pagati per quello che meritano. Nell’editoria non è diverso, nel giornalismo non è diverso.
L’avvento di Internet ha fatto credere alle persone che ogni contenuto debba essere istantaneamente disponibile, in ogni dove ed in ogni quando, senza sforzo (da parte di entrambe le parti) e senza un costo, questo perché “semplicemente” fruibile tramite un qualsiasi dispositivo in un lasso di tempo pressoché inesistente. Il fatto è che ogni contenuto richiede il lavoro di persone le cui vite non hanno nulla a che fare con la gratuità, ogni lavoro richiede tempo e sforzi, entrambe peculiarità che meritano, se valide, di essere retribuite.
Accettare ogni nuova sfida. In questo momento ho un nuovo romanzo che sta nascendo e si sta sviluppando in modi che non avevo previsto, ed allo stesso tempo mi è stato proposto di scrivere un libro a quattro mani con un musicista che ha speso la sua vita sui palchi di Tina Turner, Joe Cocker, Rod Stewart, e Ray Manzarek. È un progetto che prevede un buon periodo di tempo a Nashville e che mi porterà a mescolare molto di quello che ho fatto fino ad ora con ciò che una pubblicazione di questa levatura richiede. Inoltre, all’infuori di quello che riguarda la scrittura, voglio espandere l’attività dello studio di grafica che ho aperto due anni fa, con il quale di recente mi sto concentrando sulla produzione video.
Se dovessi rispondere per istinto, sarei obbligato a dire: Eddie Van Halen, ma così facendo non sarei completamente onesto. Quell’intervista con Eddie è sicuramente uno dei momenti più alti della mia carriera, ma è anche un’intervista “come tante”, non a causa del personaggio quanto piuttosto a causa del modo in cui l’intervista si è svolta. Non tutte le interviste sono uguali, alcune hanno un fine commerciale, mentre altre semplicemente non hanno un fine e pertanto permettono una libertà diversa. Quella con Eddie Van Halen è stata un’intervista da manuale, sia per il fine commerciale della sua pubblicazione, sia per le restrizioni imposte alle domande. Ciò non toglie che l’emozione è stata molta.
Un anno fa ho avuto modo di intervistare Janet Feder, una chitarrista di Boulder (Colorado) che si è specializzata in quella che è chiamata “chitarra preparata” (ovvero l’atto di applicare alle corde della chitarra degli oggetti in modo da creare nuove sonorità in maniera completamente estranea all’effettistica digitale). Janet nel tempo è diventata un’ottima amica e la sua è sicuramente una delle interviste più interessanti che io abbia mai condotto. Fra le altre potrei menzionare Mikael Akerfeldt degli Opeth, Beth Hart, John Scofield, Steve Vai, Gavin Harrison… ma la lista potrebbe continuare troppo a lungo per esaurirla completamente.
Ogni intervista nasce in un modo diverso, può capitare che i miei contatti stampa mi inviino del materiale da ascoltare e che io decida, in base a ciò che ho sentito, di voler intervistare un determinato musicista, allo stesso tempo però può succedere anche che sia la rivista per cui lavoro stabilmente ad indirizzarmi verso una specifica band o un artista. Non c’è una regola fissa. Quando però sono io a prendere la decisione, è fondamentale che l’album in questione mi colpisca. Prima di mettermi in contatto con il management per un’intervista ascolto sempre più volte il materiale che mi viene inviato, soprattutto durante una sessione di corsa, che è il momento in cui riesco a indirizzare un’attenzione particolare a ciò che ho in cuffia. Quando ho trovato un album che mi interessa, allora inizio a prepararmi ed a raccogliere le informazioni che ritengo necessarie. Dopo questo passaggio per stendere l’intervista non impiego molto, solitamente un’ora o poco più.
È una sensazione particolare, che riunisce timidezza, comprensione, e, in un certo senso, solitudine. Nella mezzora che solitamente mi viene concessa con gli artisti, si entra in una dimensione che ha poco a che fare con la quotidianità. Spesso i miei interlocutori sono in tour, o comunque sono lontani da casa, ed è proprio in quei momenti che molti di loro decidono di lasciar entrare me, uno sconosciuto, nella loro vita personale. È come se così facendo si sentissero meno lontani dal proprio mondo. Quando questo succede anche mezzora di tempo diventa un’eternità, e quello che un’intervista mi può lasciare diventa qualcosa di molto simile ad un’amicizia al suo principio.
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